giovedì 2 febbraio 2012

Quo vadis, Italia?

"Quo vadis, Italia?" di Antonio Polichetti - La Scuola di Pitagora Editrice


Quando lessi il libro di Naomi Klein, "Shock Economy", un'idea mi frullava per la testa per tutta la durata della lettura: gli italiani sono stati i veri inventori o precursori del moderno capitalismo dei disastri.
Nel 1980, infatti, mentre negli Stati Uniti veniva eletto, per la prima volta, Ronald Reagan, in Italia si verificò il terribile terremoto in Irpinia. Per cui, mente l'ex attore hollywoodiano restò impegnato nei successivi otto anni a diffondere e a concretizzare il neoliberismo selvaggio della Scuola di Chicago, che avrebbe gettato le basi per l'economia delle catastrofi, in Italia i politici corrotti, gli imprenditori parassitari settentrionali, la borghesia mafiosa e le organizzazioni criminali del Sud, le professioni liberali che mettono le loro competenze intellettuali a disposizione del malaffare, i pubblici funzionari infedeli, già la applicavano e la eseguivano diligentemente e già se la ridevano a crepapelle, manco fossero tutti dei Piscicelli De Vito prima maniera.
E, infatti, avevavo ottimi motivi per rallegrarsi, nonostante le devastazioni e le migliaia di morti provocate dal terremoto, perchè di lì a poco, grazie alla legge 219/81, che Polichetti definisce con termine ben azzeccato, "criminogena", si sarebbero spartiti la bellezza di 50mila miliardi di lire!
La consapevolezza che in Italia vi fossero caste e corporazioni che ingrassavano grazie alla spesa pubblica, sfruttando finanziamenti a pioggia, incentivi pubblici, risorse della collettività, e quant'altro, già era ben radicata nella mia testa a partire dagli anni '70 (soldi pubblici dati a fondo perduto alle imprese private decotte, che ricattavano lo stato e la società civile con la scusa e con la minaccia delle chiusure e dei licenziamenti; già nei '70, lo ricordo benissimo, si parlava di "socializzazione delle perdite d'impresa e di privatizzazione dei profitti"), ma dopo il terremoto dell' '80, la prassi di attingere truffaldinamente dalle casse dello stato si consolidò e si istituzionalizzò, potenziando e degenerando ulteriormente sia la casta politica che l'imprenditoria a rischio zero che le organizzazioni mafiose e camorristiche.
Si pensi dunque alla soddisfazione che ho provato leggendo questo libro di Polichetti che, con chiarezza e pertinacia, eleva questa constatazione ad analisi storico-politica e sociale della crisi italiana.
Anche se il testo del giovane autore napoletano passa in rassegna, con rigore scientifico ed esemplare metodologia di ricerca, avvalendosi di una vasta emerografia e di una notevole bibliografia, tutti gli episodi scandalosi e rovinosi della storia italiana della corruzione, dell'illegalità e del malaffare, non è il solito dossier di inchiesta, quello che ha scritto, ma un'opera di approfondimento nella quale la teoria storica, sociale e politica si intreccia efficacemente con la cronaca dei fatti esaminati.
Il libro, infatti, prologa con due capitoli storici che fanno risalire la crisi del Mezzogiorno d'Italia alla grande depressione economica del '600 (nel corso del quale secolo, i moti popolari nel Regno di Napoli furoni sconfitti lasciando mano libera all'ingordigia tributaria della corona spagnola e campo libero alla restaurazione del feudalesimo baronale) e la formazione del perverso e rapace "blocco sociale", che ha come fine lo spolpamento parassitario dello stato italiano e la appropriazione dei beni pubblici, all'ingresso nel governo unitario della cosiddetta "Sinistra storica".
Seguendo questo filo conduttore, l'autore ripercorre la storia italiana di oltre un secolo, dando una spiegazione convincente del per come e del perchè questo paese abbia vissuto perennemente sul debito pubblico, sul malaffare, sullo sfruttamento e sul consumo del territorio e delle risorse pubbliche. I fatti che vi si descrivono, esaminati in tante altre inchieste, servono, perciò, a convalidare la tesi che l'Italia è stata dalla sua fondazione dominata da un "capitalismo straccione" che ha azzerato il rischio e non ha mai esitato ad allacciare le più spregevoli alleanze e a perseguire i più schifosi obiettivi, pur di difendere i propri interessi e i propri privilegi. Checchè se ne dica, l'unità di Italia si è realizzata compiutamente in questa ignobile consociazione tra la borghesia, l'impresa e la finanza del nord e i latifondisti, prima, e la borghesia mafiosa e le organizzazioni criminali del sud, poi. Il tutto tenuto insieme dalla politica corrotta, dalle professioni liberali conniventi e dagli apparati dello stato compiacenti, che si sono sempre fatti servi prezzolati di questo patto scellerato.
Il libro, alla luce di queste teorie che prendono spunto dal pensiero progressista italiano, da quello meridionalista e da quello di Gramsci in particolare, nonchè, come ripetutamente ci avverte l'autore, dal pensiero umanistico meridionale di Giordano Bruno, dia Gianbattista Vico, di Gaetano Filangieri, di Mario Pagano, di Bertrando Spaventa e di Benedetto Croce, procede impeccabilmente nell' analisi fino al penultimo capitolo. Solo l'ultimo capitolo, quello che necessariamente tutti gli autori dedicano, dopo aver diagnosticato ampiamente la situazione, ai pronostici, agli auspici e ai progetti, mi lascia perplesso. Dopo averci parlato di "blocco sociale" dominante per tutto il libro (trascurando, però, il "blocco" antagonista che pure è stato attore di una certa prospettiva di rinnovamento; ma questo lo capisco, perchè l'obiettivo del libro è quello di dimostrare le responsabilità del disastro italiano), l'autore rilancia, appellandosi a chi? alla buona volontà dei politici, degli intellettuali e della stessa borghesia dei disastri?, solo l'unità politica, territoriale e istituzionale europea come soluzione finale, senza spiegarci chi e perchè la dovrebbe realizzare, o per meglio dire, sulle spalle di quale "blocco sociale" alternativo dovrebbe concretizzarsi. Ma, chiaramente, questo è un tema che dovrebbe investire, soprattutto, partiti, movimenti, associazioni e sindacati.



delinus

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