sabato 27 dicembre 2008

Stati Uniti: allarme iperinflazione e depressione

La Federal Reserve prepara un'iperinflazione alla Weimar
:::: 23 Dicembre 2008 :::: 9:05 T.U. :::: Analisi - economia :::: F. William Engdahl
di F. William Engdahl *

La Federal Reserve ha opposto un secco diniego alla richiesta, giunta da un importante servizio d'informazione finanziaria statunitense, di rivelare i destinatari dei prestiti d'emergenza per oltre 2.000 miliardi (tratti dalle tasche dei contribuenti) ed i beni che la banca centrale sta accettando come garanzia. I loro avvocati sono ricorsi al bizzarro argomento della tutela del “segreto commerciale”. Il segreto consiste forse nella bancarotta de facto del sistema finanziario statunitense? L'ultima mossa della FED è un'ulteriore indicazione del grado di panico raggiunto in seno agli alti gradi delle istituzioni finanziarie statunitensi e della loro mancanza d'una chiara strategia. L'espansione senza precedenti della base monetaria, praticata nelle ultime settimane dalla Federal Reserve, pone le basi per una futura iper-inflazione di sapore weimariano, forse prima del 2010.
Il 7 novembre Bloomberg ha intrapreso un'azione legale sulla base della Freedom of Information Act, chiedendo i dettagli d'undici nuovi programmi di finanziamento, creati dalla Federal Reserve all'aggravarsi della crisi.
La FED ha risposto l'8 dicembre, rivendicando il diritto a tenere nascosti i memoranda interni così come le informazioni concernenti il “segreto” e la “informazione” commerciali. La banca centrale confermava che una ricerca nei registri aveva riscontrato 231 pagine di documentazione pertinente alla richiesta.
Nelle ultime settimane, la FED di Bernanke è intervenuta per assumere un ruolo che, nei propositi originari, avrebbe dovuto essere del Troubled Asset Relief Program (TARP), varato dal Tesoro per un valore complessivo di 700 miliardi. La differenza tra un salvataggio delle istituzioni finanziarie praticato dalla FED ed uno praticato dal Tesoro risiede nel fatto che i prestiti della banca centrale non sottostanno al vaglio critico del Congresso, imposto invece al TARP. Forse sono questi i “segreti commerciali” che lo sfortunato presidente della FED, Ben Bernanke, sta così gelosamente nascondendo alla popolazione.

Iper-inflazione in agguato?

Il 6 novembre il complesso di questi prestiti d'emergenza accordati dalla FED eccedeva i 2.000 miliardi di dollari. La crescita, stupefacente, è stata del 138% (ossia di 1230 miliardi) nelle dodici settimane successive al 14 settembre, quando i governanti di banca centrale affievolirono i requisiti di garanzia necessari ad accettare titoli sprovvisti della classificazione “AAA”. Fecero ciò sapendo che il giorno successivo sarebbe avvenuto un drammatico scossone nel sistema finanziario, e lo sapevano perché, di concerto con l'Amministrazione Bush, avevano deciso di lasciarlo accadere.
Il 15 settembre Bernanke e Tim Geithner (presidente della Riserva Federale di New York), prossimo segretario del Tesoro designato da Obama, d'accordo con l'Amministrazione Bush avevano deciso di lasciar fallire la quarta più grande banca d'investimento, la Lehman Brothers, che lasciava insolventi miliardi di derivati ed altre obbligazioni possedute da investitori sparsi in tutto il mondo. Quest'evento, com'è oggi ampiamente riconosciuto, scatenò il panico a livello globale, poiché non era più chiaro che criteri stesse utilizzando il Governo degli USA per decidere quali istituzioni fossero “troppo grosse per fallire” e quali non lo fossero. Da allora il Segretario al Tesoro statunitense ha ripetutamente rivisto la politica sui salvataggi bancari, cosa che ha lasciato supporre a molti che Henry Paulson e l'Amministrazione di Washington – e con loro la FED – avessero perduto il controllo.
In risposta all'acuirsi della crisi, la FED di Bernanke ha deciso d'espandere quella che tecnicamente si chiama “base monetaria”, definita come il totale delle riserve bancarie più la liquidità in circolo, basi per una potenziale ulteriore emissione nell'economia da parte delle grandi banche. Dalla bancarotta della Lehman Bros., quest'espansione monetaria è aumentata drammaticamente per la fine d'ottobre, ad un tasso di crescita su base annuale pari al 38%: si tratta d'un qualcosa senza precedenti nei 95 anni di storia della Federal Reserve. Il più alto tasso di crescita fino ad allora registrato, stando ai dati della Federal Reserve, era il 28% del settembre 1939, quando gli USA stavano rafforzando l'industria per affrontare la guerra scoppiata in Europa.
Alla prima settimana di dicembre, l'espansione della base monetaria era balzata ad un incredibile 76% in soli tre mesi. Dagli 836 miliardi del dicembre 2007, quando la crisi sembrava contenuta, s'era passati ai 1479 miliardi del dicembre 2008, un'esplosione del 76% su base annuale. Inoltre, fino al settembre 2008, mese del collasso della Lehman Brothers, la Federal Reserve aveva lasciato la base monetaria quasi invariata. Il 76% di crescita è quasi interamente concentrato negli ultimi tre mesi, il che implica un tasso d'espansione annualizzato d'oltre il 300%.
Ciò non ostante, le banche non prestano più, lasciando l'economia statunitense in uno stato di depressione e caduta libera di scala mai riscontrata dopo gli anni '30. Uno dei motivi principali per cui le banche non prestano è che, secondo le norme della Banca dei Regolamenti Internazionali di Basilea, debbono accantonare l'8% del loro capitale contro il valore d'ogni nuovo prestito commerciale. Le banche, tuttavia, non hanno idea di quante delle ipoteche e d'altri titoli “problematici” in loro possesso potrebbero rivelarsi inconsistenti nei mesi a venire - costringendole poi a rastrellare nuove ingenti somme di capitali per mantenersi solventi. È allora più “sicuro”, per loro, rifilare i titoli “spazzatura” (o “tossici”) alla FED in cambio degl'interessi sui buoni del Tesoro acquisiti. Gl'investimenti bancari sono rischiosi in un clima di depressione.
Così le banche hanno scambiato 2 miliardi di presunti titoli “tossici” - “Asset-Backed Securities” in ipoteche subprime ed altri crediti ad alto rischio – con denaro della Federal Reserve, buoni del Tesoro statunitense o altri titoli governativi valutati (ancora) “AAA”, ossia privi di rischio. Il risultato è che la Federal Reserve possiede ora circa 2 miliardi di titoli-spazzatura prelevati dal sistema finanziario. I mutuatari includono Lehman Brothers, Citigroup e JPMorgan Chase, le più grandi banche statunitensi. Banche che s'oppongono al rilascio di qualsiasi informazione, poiché ciò potrebbe apparire un segnale di “debolezza” ed incentivare la vendita alla scoperta o la corsa agli sportelli da parte dei depositanti.
A rendere la situazione ancor più drastica è il modello d'azione adottato dalle banche statunitense sin dalla fine degli anni '70 per incrementare i depositi, cioè l'acquisto di “depositi all'ingrosso” prendendoli in prestito da altre banche nel corso del mercato interbancario notturno. Il calo di fiducia, causato dalla bancarotta della Lehman Bros., è così forte che nessuna banca al mondo si fida abbastanza di un'altra da concederle prestiti. Ciò lascia a disposizione solo i tradizionali “depositi al dettaglio”, costituiti dai risparmi o dai conti correnti privati e aziendali.
Rimpiazzare i depositi all'ingrosso con quelli al dettaglio è un processo che, nel migliore dei casi, richiederà anni; di certo non settimane. È comprensibile che la Federal Reserve non voglia discuterne. Ciò risalta chiaramente anche dal brusco rifiuto di rivelare la natura dei beni da 2000 miliardi acquisiti da banche cooperative ed altri istituti finanziari. Detta semplicemente, qualora la FED rivelasse quali “collaterali” abbia ricevuto dalle banche, la popolazione conoscerebbe le perdite potenziali cui il governo va incontro.
Il Congresso sta domandando a Federal Reserve e Tesoro maggiore trasparenza sui piani di salvataggio. Il 10 dicembre, in occasione delle audizioni al Congresso da parte del Comitato sui servizi finanziari della Camera, il rappresentante David Scott (democratico della Georgia) ha descritto gli Statunitensi come «bamboozled», che in gergo significa “defraudati”.

Singhiozzi ed uragani

In settembre il presidente della FED Ben S. Bernanke ed il segretario al Tesoro Henry Paulson promisero di soddisfare le richieste congressuali di maggiore trasparenza nella gestione del piano di salvataggio del sistema bancario da 700 miliardi. Il Freedom of Information Act obbliga le agenzie federali a rendere i documenti governativi accessibili alla stampa ed ai cittadini.
Ai primi di dicembre l'agenzia di supervisione del Congresso, la GAO, ha rilasciato il suo primo resoconto sull'attuazione del programma TARP. Nel resoconto si nota che, a trenta giorni dal varo del programma, l'ufficio di Paulson ha distribuito 150 miliardi ad istituti finanziari senza chiedere riscontri su come il denaro sia effettivamente utilizzato. Sembra che il Tesoro di Henry Paulson abbia gettato un colossale telo sull'intero salvataggio pagato dai contribuenti [un gioco di parole risiede nell'espressione “tarp”, che è sia la sigla del piano di salvataggio, sia un sostantivo inglese dal significato appunto di “tela incerata”, NdT].
Aggiungendo altro combustibile al rogo dell'ex Mecca finanziaria, il Congresso degli USA – agendo per lo più su basi ideologiche – ha scioccato il sistema finanziario col rifiuto a concedere un pur magro prestito d'emergenza da 14 miliardi alle tre grandi case automobilistiche: General Motors, Chrysler e Ford.
Se è probabile che il Tesoro estenderà alle compagnie i crediti d'emergenza fino al 20 gennaio, o finché il Congresso neo-eletto prenderà in considerazione un nuovo piano, la prospettiva d'una reazione a catena di bancarotte delle tre grandi compagnie non è così lontana. Sottaciuto nel dibattito in corso, è che queste tre compagnie assommano assieme il 25% di tutti i buoni societari degli USA in sospeso. Tali buoni sono posseduti da fondi pensione privati, fondi comuni d'investimento, banche ed altri soggetti. Se s'includono anche i fornitori di componenti automobilistici per le “Tre Grandi”, sono oggi a rischio d'insolvenza a catena buoni societari per un ammontare di 1000 miliardi di dollari. Una simile bancarotta di massa comporterebbe, forse, una catastrofe finanziaria tale da far apparire il fallimento della Lehman Bros., al confronto, come un singhiozzo in mezzo ad un uragano.
Inoltre, le azioni intraprese sin da settembre dalla Federal Reserve, in preda al panico, con l'esplosiva espansione della base monetaria, ha posto le basi per un'iperinflazione in stile Zimbabwe. La nuova moneta non è stata “sterilizzata” dalla FED con azioni compensative: ciò è assai inusuale ed indica lo stato di disperazione in cui versa. Prima di settembre, le infusioni di denaro da parte della FED erano sterilizzate, neutralizzando così il potenziale effetto inflattivo.

Un'Enorme Depressione

Ciò significa che, quando le banche ricominceranno finalmente a prestare, forse in un anno o giù di lì, l'economia statunitense si ritroverà inondata di liquidità nel bel mezzo d'una depressione deflazionaria. A questo punto, o forse anche molto prima, il dollaro collasserà per la fuga dei detentori stranieri di buoni del Tesoro ed altri beni statunitensi. Il risultato sarà un netto apprezzamento dell'euro con effetto paralizzante per le esportazioni della Germania e d'altri paesi; a meno che l'UE ed altri paesi estranei all'area del dollaro – come Russia, membri dell'OPEC e soprattutto Cina – riescano a creare una nuova zona di stabilizzazione al di fuori del dollaro.
Nei prossimi mesi il mondo fronteggerà le più grandi sfide economiche e finanziarie. La scelta che si prospetta per la prossima Amministrazione Obama è quella di nazionalizzare letteralmente il sistema creditizio, per assicurare aperture di credito all'economia reale nel corso dei prossimi 5 o 10 anni, oppure prepararsi ad un'Armageddon economica al cui confronto quella degli anni '30 sembrerà una blanda recessione.
Lasciando perdere quel che sembra una spudorata manipolazione dei principali dati economici - praticata dall'attuale Amministrazione statunitense prima delle elezioni di novembre nel vano tentativo di celare le dimensioni della crisi in corso - le cifre appaiono senza precedenti.
Nella prima settimana di dicembre l'Initial Jobless Claims [rapporto settimanale pubblicato dal Dipartimento del Lavoro degli USA, che misura i richiedenti sussidi di disoccupazione, NdT] ha fatto segnare i più alti livelli dal novembre 1982. Più di quattro milioni di lavoratori sono rimasti disoccupati – anch'esso valore più alto dal 1982 – ed in novembre le aziende statunitensi hanno tagliato posti di lavoro al ritmo più elevato degli ultimi 34 anni. Nel corso del 2008, sono scomparsi finora 1.900.000 posti di lavoro.
Varrà bene ricordare che il 1982 rappresentò il culmine di quella che fu allora chiamata “Recessione Volcker”. Paul Volcker, longa manus della famiglia Rockefeller presso la Chase Manhattan, era stato chiamato ad applicare all'economia statunitense la sua “terapia choc” basata sul tasso d'interesse, il cui fine era «estirpare l'inflazione». Estirpò molto di più, dato che l'economia sprofondò nella recessione, e la sua politica di alto tasso d'interesse detonò nella cosiddetta Crisi del Debito del Terzo Mondo. Il medesimo Paul Volcker – e c'è ben poco da starne allegri – è stato appena nominato da Barack Obama prossimo presidente del neocostituito consiglio presidenziale per la ripresa economica.
L'attuale collasso economico negli Stati Uniti è stato provocato da quello del mercato dei mutui ad alto rischio subprime e Alt-A; un mercato da 3000 miliardi di dollari. Il presidente della FED Bernanke ha pubblicamente affermato che il peggio passerà con la fine di dicembre. Nulla può essere più lontano dalla verità, e lo sa bene. Lo stesso Bernanke, nell'ottobre 2005, dichiarò che «non c'è alcuna bolla immobiliare che possa esplodere». Questo fa riflettere sulle capacità profetiche dell'economista di Princeton. Il rinomato S&P Schiller-Case US National Home Price Index ha mostrato un calo del 17% su base annua nel terzo trimestre, con tendenza ascendente. Secondo alcune stime, ci vorranno ancora dai cinque ai sette anni perché i prezzi delle case negli USA raggiungano il punto più basso. Nel 2009, quando i tassi d'interesse saranno rifissati, circa 1000 miliardi di mutui statunitensi Alt-A cominceranno a spirare, il tasso d'abbandono delle case ed i sequestri di immobili ipotecari esploderanno. Poco nei cosiddetti programmi d'ammiglioramento dei mutui offerti finora raggiunge la grande maggioranza dei coinvolti. Al contrario, il processo è destinato ad accelerare, dal momento che milioni di statunitensi perderanno il proprio lavoro nei prossimi mesi.
John Williams, autore del rispettato Shadow Government Statistics, ha di recente pubblicato una definizione di “depressione”, termine che dopo la Seconda Guerra Mondiale è stato deliberatamente estromesso dal lessico economico come riferimento ad eventi non più ripetibili; da allora, infatti, ogni calo è stato chiamato semplicemente “recessione”. Williams mi ha spiegato che, qualche anno fa, intervistando le più importanti autorità economiche degli USA all'Ufficio d'Analisi Economica del Dipartimento del Commercio ed all'Ufficio Nazionale di Ricerca Economica (NBER) nonché numerosi economisti del settore privato, fece ogni sforzo possibile per addivenire ad una più precisa definizione dei termini “recessione”, “depressione” e “grande depressione”. Credo che il suo sia stato in pratica l'unico tentativo di delineare con maggiore attenzione i significati di quelle espressioni. Ne venne fuori innanzi tutto con la definizione ufficiale di recessione data dal NBER: due o più trimestri consecutivi di contrazione del PIL reale o di misure del lavoro retribuito e della produzione industriale. Quando nel corso di una recessione il PIL si contrae d'oltre il 10% si parla di depressione. Una grande depressione è, secondo Williams, quella in cui la contrazione del PIL supera il 25%.
Nel periodo dall'agosto 1929 alla fine del suo ufficio, il presidente Herbert Hoover vide una contrazione dell'economia statunitense lunga 43 mesi e pari al 33%. Barack Obama sembra pronto a battere questo primato, presiedendo su quella che gli storici chiameranno forse l'Enorme Depressione del 2008-2014, a meno ch'egli riesca a trovare un nuovo gruppo di consiglieri finanziari prima del giorno inaugurale del 20 gennaio. Non gli servono presidenti della FED riciclati, tipo Paul Volcker o Larry Summer. È necessaria una strategia radicalmente nuova per avviare quasi l'intera economia degli Stati Uniti ad una riorganizzazione fallimentare d'emergenza da “Capitolo 11” [il capitolo 11 del titolo 11 del Codice degli USA è il procedimento fallimentare che prevede la ristrutturazione del debito, NdT], in cui le banche cancellino fino al 90% dei loro beni “tossici”; questo per salvare l'economia reale, per il bene del popolo statunitense e delle genti di tutto il mondo. La moneta cartacea si può strappare facilmente. Non così le vite umane. Nel processo, potrebbe esserci il tempo per il Congresso di considerare il riassorbimento della Federal Reserve nel Governo federale, come statuiva originariamente la Costituzione, e rendere così tutto più facile. Se questo vi suona estremo, allora rileggete il presente articolo fra sei mesi.

(© La presente traduzione, autorizzata dall'Autore, è stata realizzata da Daniele Scalea per “Eurasia”. È liberamente consentita la riproduzione a fini non commerciali purché sia chiaramente citata la fonte)
Versione originale dell'articolo (in inglese): http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=11401

* F. William Engdahl, economista e politologo formatosi nelle università di Princeton e Stoccolma, collabora regolarmente ad alcune pubblicazioni prestigiose (tra cui “Asia Times” e “Business Banker International”) ed è autore di due libri (A Century of War: Anglo-American Oil Politics and the New World Order e Seeds of Destruction: The Hidden Agenda of Genetic Manipulation). Per i primi due mesi del 2009 è prevista l'uscita della sua terza opera: Full Spectrum Dominance: Totalitarian Democracy in the New World Order. In Italia è stato pubblicato, sul numero 1/2007 di “Eurasia”, il suo saggio “L'emergente gigante russo”.

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