domenica 7 settembre 2008

Essere Rom a Scampia

Dan McDougall
The Observer, domenica 17 agosto 2008

Tirandosi i capelli l'un l'altro, i bambini Rom si azzuffano quando è il loro turno di passare i polsi scarni sopra le candele funerarie accese. Davanti allo stesso santuario Ortodosso, la loro nonna recita le preghiere al Signore in lamentosa lingua Romanì.

"Am Mora Dat con san ando cheri." Le parole lasciano la sua bocca con un bisbiglio mentre si fa il segno della croce e bacia un crocefisso d'oro che ha al collo. La bambina più piccola, non avrà più di quattro anni, fa la linguaccia e un gesto a V per vaffanculo e scappa fuori.

Il soffitto umido del prefabbricato di due stanze che gli Zingari chiamano casa sta per collassare. I fogli di cellophane alle finestre, guardano verso le pareti grigie del più malfamato carcere di Napoli, e sono così fragili vacillano nella debole brezza. Ci sono materassi dappertutto, per terra, appoggiati per proteggere dagli spifferi. Come i loro abitanti, sono sottili e lisi. L'unica concessione alla modernità è una gigantesca consolle nell'angolo, che fa fuoriuscire un DVD di registrazioni distorte di canzoni folk balcaniche. Il risveglio a cui stiamo assistendo nel più noto campo Romanì di Napoli è proseguito per 10 giorni. L'alcool è sparso per la stanza; nauseabondo straripa da tazze di plastica e bottiglie di Peroni, un bastardino mezzo cieco dorme adattandosi tra i resti di un migliaio di sigarette arrotolate.

Accanto ad un ritratto a seppia del riverito frate cappuccino, Padre Pio, una confusa stampa digitale della tredicenne Cristina e dell'undicenne Violetta Djeordsevic - le due sorelle la cui morte improvvisa nelle poco profonde acque di una spiaggia pubblica sulla costa amalfitana il mese scorso, hanno incapsulato la minaccia del razzismo nella moderna Europa. E' una tragedia che ha focalizzato l'attenzione internazionale sul bordo stracciato della più caotica città d'Italia. La gioventù e la bellezza delle ragazze nelle foto, stranamente, è come uno shock. Sinora, come molti, avevo visto soltanto i loro corpi prostrati, coperti da un corto telo da spiaggia, da cui fuoriuscivano soltanto i piedi, sulla spiaggia trasandata di Torregaveta, un decrepito sobborgo marino del golfo di Napoli.

La mattina del 17 luglio Cristina e Violetta, assieme alle loro cugine Manuela e Diana, erano andate come al solito dal misero accampamento in cui siamo seduti ad una delle spiagge di Napoli più popolari. Camminando per due miglia sino al più vicino mezzo di trasporto pubblico, e saltando a bordo del treno locale che fiancheggia le scogliere litoranee attorno alla città, le ragazze progettavano di vendere dei gingilli - piccole tartarughe di legno intagliate da migranti Nigeriani - ai turisti della baia. A Torregaveta, dopo una lunga e calda giornata senza vendite, le sorelline si sfidarono l'un l'altra tuffandosi dagli scogli in mare. Violetta saltò per prima e sparì, affondando tra le onde. Cristina, la più grande, si tuffò per salvarla. Sono annegate entrambe, una vicina all'altra.

Quello che è accaduto in seguito ha scioccato il mondo.

Le ragazzine sono state recuperate dal mare da un passante e più tardi dichiarate morte da un bagnino che ha prestato soccorso, mentre Manuela e Diana piangevano, battendo i loro piccoli pugni sui cadaveri.

Quando è arrivata la polizia, le loro cugine, turbate e sotto shock, sono state portate via per contattare i parenti. Sono stati usati due teli da spiaggia per coprire le due ragazze morte. Ed allora è successo qualcosa di straordinario.

La vita di spiaggia è ricominciata attorno ai corpi per tre ore sino a quando si è presentata un'ambulanza. Nell'immagine più toccante di tutte, una coppia mangiava con indifferenza il picnic osservando la scena. Un'altra lì accanto si lanciava un frisbee. L'indifferenza, ripresa da giornali e TV di tutto il mondo, è stata per l'elite liberale del paese la goccia che ha fatto traboccare il vaso. La più alta autorità cattolica a Napoli, il cardinale Crescenzio Sepe, è stato il primo a precisare la grettezza dei sentimenti umani rappresentati dal comportamento di Torregaveta. "Cristina e Violetta" ha detto ai media italiani, "non hanno trovato altro che pregiudizio nella vita ed indifferenza nella morte; una verità imperdonabile."

A Roma, il governo si ritraeva. Maestri della realpolitik, sapevano che le morti di Cristina e Violetta, entrambe nate in Italia, ma di sangue completamente Rom, era arrivata in un brutto momento per la nazione, costretta nei mesi recenti a difendersi dai vicini europei dalle accuse di discriminazione contro Zingari e immigrati. Il Primo Ministro Silvio Berlusconi, balzato al potere per la terza volta con un programma sottilmente travestito anti-immigrati, era nel mezzo di un programma controverso ma populisti di prendere le impronte ai 150.000 Rom del paese, alcune famiglie delle quali sono in Italia dal medio evo. Secondo alcuni critici è diventato impossibile sottacere i toni fascisti di queste azioni, e puntualizzano il fatto che le prime espulsioni di Zingari ebbero luogo nel 1926 sotto Benito Mussolini. Gli eredi politici del dittatore, i "post-fascisti" di Alleanza Nazionale, sono ora partner di coalizione del governo Berlusconi.

A maggio di quest'anno, voci di rapimento di una bambina da parte di una Zingara a Napoli, innescarono un orgia di violenza contro i campi Rom di delinquenti che brandivano mazze ferrate, che diedero fuoco alle roulotte e spinsero via gli Zingari dalle loro baraccopoli in dozzine di assalti, orchestrati dalla violenta e conosciuta mafia locale, la Camorra. La risposta del governo Berlusconi? "Questo è ciò che accade quando gli Zingari rubano i bambini," ha scrollato le spalle Roberto Maroni, ministro degli interni ed alleato chiave di Berlusconi.

Per i 10 milioni di europei liberamente etichettati come Rom o Zingari, la vita è una processione senza fine di marginalizzazione e pregiudizio. Rinchiusi in accampamenti in tutto il continente, si stima che l'84% dei Rom in Europa viva sotto la linea di povertà. Forse ancora più scioccante è la mancanza di una foto più dettagliata. L'indifferenza e la riluttanza ufficiali da parte dei Rom stessi significa che i dati sull'aspettativa di vita, mortalità infantile, occupazione e tassi di scolarizzazioni sono dispersi. Tuttavia tutti sembrano più bassi di quelli della società maggioritaria.

La difficile situazione dei Rom è stata parte della vita europea sin dalla loro misteriosa migrazione dal Rajasthan attorno all'anno 1.000dc. La regina Elisabetta I fu la prima che cercò di espellere i Rom dall'Inghilterra. L'imperatore tedesco Carlo VI ordinò il loro sterminio nel 1721. In parte dei Balcani, i Rom furono venduti come schiavi sino alla metà del XIX secolo. Nel XX secolo, centinaia di migliaia di Rom perirono nell'Olocausto nazista, conosciuto dagli Zingari come il Porrajmos o "Divoramento". Perché Rom come Cristina e Violetta sono nate a Napoli ha più a che fare con l'eredità moderna nei Balcani. Nei primi anni '90, migliaia di Zingari attraversarono l'Adriatico dopo lo scoppio dei combattimenti in Yugoslavia e la pulizia etnica in Bosnia. Per molti degli Zingari, la maggioranza dei quali erano immigrati illegali, la Napoli senza legge era il posto dove potevano sparire nel caos.

Sono le 6,30 del mattino nel centro storico coperto di graffiti della vecchia Napoli. Due giovani preti passano rapidamente su una vecchia Vespa giallo canarino, il motore scoppietta per le strade silenziose. Passando col rosso e fiancheggiando l'entrata barocca della cappella di San Lorenzo Maggiore, i seminaristi accostano e abbandonano lo scooter. Sono in ritardo per le preghiere del mattino. Sotto le strette stradine acciottolate, lontano sotto di loro, c'è il porto e il Mediterraneo azzurro.

Scintillando all'alba, le acque della baia si allungano a ovest, verso la massa scura del Vesuvio e di Campi Flegrei, i "campi brucianti", i terreni vulcanici che i Greci una volta pensavano fossero i cancelli dell'inferno.

Qui la mattina arriva lentamente. Gli anziani, le cui fronti spiegazzate sono bruciacchiate e incrinate come terra asciutta, sono i primi ad emergere, seduti su sedie di plastica bianca per le strade strette fuori dai loro appartamenti mentre il baccano delle mogli filtra all'interno e continua con le faccende domestiche mattutine.

Armati di acqua saponata e spugne, un gruppo stracciato di operai municipali cerca di rimuovere centinaia di manifesti apparsi in città nottetempo. "Diritti per tutti". "Bianchi, neri, gialli, rossi. Stop apartheid now," proclamano sotto crude immagini di impronte digitali. Sotto i nuovi manifesti giacciono altri vecchi sbiaditi che chiedono la deportazione di massa degli Zingari e degli immigrati di Napoli.

"L'Italia è divisa su queste ragazze, sul destino dei Rom. E' stata punta la coscienza della gente. Puoi vederlo sui muri della nostra città," dice Francesca Saudino, la nostra guida del primo mattino e attivista della campagna di difesa legale con base a Napoli, assieme a Osservazione, un gruppo nazionale di pressione per i diritti dei Rom. "La reazione alla morte di queste ragazze va oltre qualsiasi cosa mai accaduta prima. L'avvenimento ha mostrato un realismo sociale che parte da lontano nel nostro paese: molti della classe lavoratrice pensano che i Rom non siano di più che animali, ed il governo sta usando questa xenofobia per avere voti e popolarità. La gente è confusa. Le morti di queste bambine rappresenta qualcosa di più, forse una lotta per l'anima d'Italia."

Stiamo capitando a Scampia, la zona di edilizia popolare più dura e senza legge d'Europa. Il tassista, riluttante a portarci là, non è socievole. Ci ha caricati "tripli" e non si stanca di ammonirci, sputando fuori le richieste ad ogni semaforo tra il fumo della sua sigaretta.

Scampia è la patria delle malfamate torri conosciute come Le Vele, il posto dove molti tossicodipendenti di Napoli vanno in cerca di eroina, crack e cocaina meno costose d'Europa. Una terra di outsider e fuorilegge che vivono ai margini della società, il quartiere è anche la casa della maggioranza dei Rom della città. All'ingresso municipale della proprietà, con un cenno all'Inferno di Dante, qualcuno con una bombola spray di vernice rossa ha scritto"Abbandonate ogni speranza voi che entrate."

La nostra prima vista è una serie di automobili bruciate. Sembra di essere nel quartiere Farza di Kabul. Gli edifici sembrano assediati da un disastro naturale. La maggior parte degli ascensori sono rotti. Tubazioni rotte fanno fuoriuscire acqua ovunque e i cortili esterni sono coperti di immondizia sino al ginocchio. L'aria odora di pneumatici bruciati. Dagli appartamenti grigi dei palazzi multipiano, diverse sentinelle esplorano le strade per segnalare la polizia o squadre antidroga. Scampia è stata a lungo una base chiave per il braccio narcotico della Camorra.

Il nostro guidatore ci lascia nel mezzo di Via Cupa Perillo accanto alla carcassa di una Fiat Punto. Segna l'ingresso al "Campo Autorizzato", l'unico campo Rom ufficiale di Scampia - circa duecento roulottes e prefabbricati messi insieme su uno sputo stretto di terra, oscurati dalle mura del noto Carcere Di Secondigliano. E' il posto dove sono nate Cristina e Violetta e dove hanno passato tutta la loro vita.

"E' una palude recuperata," dice Francesca. "Circa 700 Rom vivono senza acqua potabile, bagni, fognature, raccolta dell'immondizia, riscaldamento a norma o posti dove cucinare."

Quando stiamo per entrare, i bambini stanno giocando accanto agli escremento fuoriusciti da una toilette comunale a cielo aperto. In piedi nel centro della strada mal asfaltata ci sta aspettando Miriana Djeordsevic, la madre delle due ragazze. Addobbata in nero con leggere pantofole di seta ai piedi, stringe l'ultima fotografia delle sue figlie. L'atmosfera intorno è tesa. Nei giorni precedenti la morte delle ragazze, la famiglia estesa di Miriana era stata obbligata a fornire le impronte alle autorità. Nelle recenti settimane, i gruppi Rom di qui avevano protestato, indossando i triangoli neri che erano il segno che gli Zingari erano obbligati a portare nei campi di concentramento.

In casa di Miriana, ci viene offerta della vodka, versataci da un uomo tatuato coperto da catene e braccialetti d'oro. Ghignando attraverso i denti anneriti non offre presentazioni. La maggior parte delle donne di questo campo lavora come giornaliere nell'agricoltura, le altre, le anziane e i bambini, mendicano. Ma qualcuno degli uomini conduce uno di più grande traffici di automobili rubate dell'Italia meridionale. Altri, più nascosti, guadagnano dal vendere droga e violenza. Guardandosi attorno nella stanza è chiaro che questa economia in nero non produce benessere o salute o lusso, solo simboli di potere, salute ed avanzamento sociale tra gli uomini. I loro bambini semi-nudi e le moglie sembrano come donne e bambini nell'Africa sub-sahariana.

"Le ragazze sono annegate nel mare," mi dice fermamente Miriana. "Ci sono state chiacchiere sui giornali, che sono state uccise, che non c'è stato funerale. Sono annegate in mare, giocando innocenti com'erano. Il vero crimine è cosa è successo attorno a loro. Quella gente al mare, ha ignorato le bambine, come se fossero cani bagnati dal Mediterraneo. Le mie figlie non erano sotto-umane."

Miriana mi porge un'altra fotografia di Violetta. Posa con un vestito rosa crespato. "Voleva diventare ballerina. Non voleva andare a scuola. Voleva solo essere bella. Cristina aveva una cattiva influenza su Violetta.. Non le piaceva la scuola. Odiava vivere nel campo. La nonna ha detto che cercava solo di trovare il suo posto da qualche parte, ma non sarebbe diventata una donna forte. Aveva la voglia e la determinazione. Soprattutto voleva poter andare nei negozi della città, scegliere i vestiti senza essere cacciata dalla polizia. Ritagliava i vestiti dalle riviste e sopra vi incollava la sua testa. Era il suo modo di scappare. Violetta guardava solo. Adorava la sua sorella grande."

"Nei giorni seguenti la loro morte, un prete cattolico ci ha visitato e s'è scusato per la gente alla spiaggia, dicendo che non avevano capito la situazione. Gli ho chiesto perché gli Italiani ci odiano, perché guardavano i corpi delle due ragazze morte spalmandosi la crema solare e non ho avuto risposte. Ha pianto e mi ha detto che anche i Rom sono figli di Dio. Gli ho detto che non sembrava. Siamo quelli che gli Italiani rimproverano per la povertà fuori dal campo. Quella è colpa loro, non nostra, non delle mie figlie."

Miriana ha a malapena 30 anni, ma sembra di dieci più vecchia. Si è sposata a 14 e madre di cinque nei primi vent'anni, è scappata da giovane al confine serbo-bosniaco, sperando in una nuova vita in Italia. Tre dei suoi figli sopravissuti non sono andati a scuola. Il più piccolo non ha il certificato di nascita. Loro semplicemente non esistono. Una delle ultime cose che fecero a Cristina e Violetta fu prendere loro le impronte. "Cristina e Violetta diedero le impronte poco prima di morire. Violetta era sconvolta. Corse fuori e iniziò a piangere. Pensava che la polizia fosse venuta per portarla via. Cristina era arrabbiata e fregò l'inchiostro dalle dita. Aveva capito tutto. Sapeva che eravamo trattati da animali. E' morta sapendo che non aveva speranze di una vita migliore."

Più tardi, mentre camminavamo attorno al campo, abbiamo incontrato sguardi intimidatori. Un uomo ha sputato ai miei piedi. La presa delle impronte, parte di più vasti severi provvedimenti verso i 3,5 milioni di recenti immigrati economici, ha portato un atmosfera di retorica isteria sul crimine e la sicurezza, e lasciati i Rom più amareggiati di prima. Le organizzazioni cattoliche dei diritti umani hanno condannato la presa delle impronte agli Zingari come "evocante ricordi spaventosi" della persecuzione nazista. Il capo rabbino di Roma ha insistito questa settimana che "dev'essere fermata ora". Amos Luzzato, ex capo dell'Unione Italiana delle Comunità Ebraiche, ha detto che la politica delle impronte ricorda "i giorni in cui non potevo andare a scuola, e la gente mi indicava dicendo -Guarda mamma, è un Ebreo-. Questo è un paese che ha perso la sua memoria."

Ma Massimo Barra, capo della Croce Rossa Italia, che ha monitorato il processo, settimana scorsa ha insistito che lo scopo era di integrare i Rom nella società italiana. Se ai bambini verranno prese le impronte, sarà fatto "come un gioco", ha detto. "Stiamo costruendo ponti, non muri."

Ufficialmente, le ragioni del programma delle impronte appare abbastanza semplice: permetter al governo di compilare un censimento accurato ed assicurare che i bambini zingari vadano a scuola. Ma i gruppi dei diritti umani sono preoccupati. Come parte delle misure anti-immigrazione, il primo ministro ha anche istituito commissari speciali che "trattino" con gli Zingari nelle tre maggiori città - Napoli, Milano e Roma.

Secondo Francesca Saudino, la presa delle impronte è al cuore dell'angoscia e del disincanto provato dai Rom. "La destra italiana rimprovera ai Rom la maggior parte dei crimini da strada, in particolare sui bambini mandati dagli adulti a rubare," ci ha detto. "Questa è un'inesattezza isterica. Si stimano 152.000 Rom nei 700 campi in Italia ed il Ministro degli Interni spera di smantellarli tutti. Il 30% hanno la cittadinanza italiana, ma il resto sono migranti, molti dalla Romania e dai Balcani. Sospettiamo che gli Zingari vengano identificati solo così da essere espulsi."

Ha aggiunto: "Un terzo dei bambini napoletani non va a scuola del tutto o deve ripetere l'anno. L'analfabetismo qui è a livelli di Terzo Mondo. I bambini che vivono nelle periferie, nei quartieri spagnoli e a Piscinola, San Giovanni a Teduccio, Poggioreale, Secondigliano e Torre del Greco, sono tutti uguali, odiano la scuola, i loro maestri e la selettività del sistema. Odiano anche l'Italia e gli Italiani. Molti sono figli di immigrati Russi, ma non vengono loro prese le impronte o trattati da fuorilegge. Non si può avere una legge per i Rom e una legge per chiunque altro."

Al centro dell'argomento, secondo i gruppi dei diritti umani, ci sono diversi politici chiave . Uno di loro è Umberto Bossi, capo della Lega Nord, un piccolo partito di ex fascisti rinnovati, forze anti immigrati e tradizionali conservatori. Bossi è emerso come influente, il giocatore chiave nel ritorno di Silvio Berlusconi al potere durante le recenti elezioni e molti ritengono continuerà a fare la voce grossa. A Bossi e ad altri tre membri del suo partito sono stati offerti posti nel nuovo gabinetto, incluso il Ministero degli Interni, che sorveglia la politica e la sicurezza domestica. Bossi è quello che una volta sostenne di voler sparare ai battelli che portavano gli immigrati sulle coste italiane.

La Lega Nord è apparsa nei primi anni novanta come il partito che richiedeva la secessione dell'Italia del nord più agiato dal resto del paese. Il partito in questi giorni ha abbassato i toni della retorica secessionista. Invece, chiede una maggiore autonomia e la "devoluzione" dei poteri dal governo centrale alle regioni. Bossi è stato nominato Ministro delle riforme nel nuovo governo, una piattaforma ideale per cambiare la legge e dare più autonomia al nord.

Un altro gabinetto è andato al folcloristico Roberto Calderoli della Lega Nord, ricordato per essere apparso in TV con una T-shirt blasonato di una vignetta del profeta Maometto, e per organizzare parate con maiali dove i musulmani vorrebbero costruire una moschea. L'altro principale alleato di Berlusconi al governo è Alleanza Nazionale, un partito formato dai successori fascisti di Mussolini. Il suo leader, Gianfranco Fini, che ha lottato per distanziarsi dal suo passato neofascista, è diventato presidente della Camera dei Deputati.

Tuttavia Giuliano Ferrara, ex ministro per i rapporti con il Parlamento del primo governo Berlusconi ed ora redattore prominente ed opinionista TV, reclama che la crescita della destra è un mito. "Era interamente prevedibile che una volta che Berlusconi fosse tornato al potere, sarebbe apparso un coro greco per ammonirci tutti che la democrazia italiana era in pericolo, che l'Italia voleva introdurre le deportazioni di massa e i campi di concentramento," ha detto. "In realtà, le violenze contro immigrati e Zingari sono state limitate." Il vero problema," dice Ferrara, è che l'Italia, più di ogni altro paese in Europa, ha dovuto far fronte con un afflusso di immigrati che finiscono a vivere in povertà ai margini delle città - i margini dove vivono i più poveri. Non c'è persecuzione etnica in Italia," insiste Ferrara. "Fare confronti con quanto successe agli Ebrei, che furono sterminati, è irresponsabile."

Ironicamente, l'Europa si presume sia nel mezzo del "Decennio dell'Inclusione Rom", un progetto lanciato dalla UE nel 2005 quando i governi dei paesi con la più vasta popolazione Rom - Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Ungheria, Macedonia, Montenegro, Romania, Serbia and Slovacchia - concordarono di eliminare il divario nell'istruzione, impiego, salute e alloggio. Chiedete agli stessi Zingari, vi diranno che ha avuto scarsi effetti sulle loro vite. L'Open Society Institute, fondato dal miliardario George Soros, che ha largamente appoggiato i Rom, disse in un recente rapporto che molti governi vedevano la risposta al problema Rom intermini di "misure sporadiche" più che di politiche coerenti. Quando gli fu chiesto qual'era il cuore del problema, un membro del Parlamento Europeo rispose: "Guarda. Noi vogliamo aiutarli. Non manchiamo di leggi o di soldi. Il problema è la volontà politica in paesi come l'Italia e, ultimamente, gli stessi Rom - molti non vogliono essere parte della società, anche se la società sta tentando di aiutarli. Non c'è fiducia, solo amarezza e scetticismo. Nel caso dell'Italia, da ambo le parti."

"Mi chiamo Veronica Selimovic e sono italiana," piange la piccola zingara a piedi nudi mentre salta agilmente tra il fango e le pozze d'olio nel Campo Nomadi Aurelia ai margini di Roma. I giovani stanno tra i relitti delle automobili e carrozzerie arrugginite, fumando sigarette di contrabbando. Tutt'intorno a noi ci sono pneumatici bruciati, cartucciere, preservativi. Gli Zingari sono agitati. Sembrano pronti a partire nel mezzo della notte, dicono per una buona ragione. La figura politica che ora presiede sui loro campi, è Gianni Alemanno di Alleanza Nazionale, che ad aprile è stato eletto sindaco di Roma. Come ha assunto la funzione, i suoi supporter hanno fatto il saluto romano, cantando "Duce, Duce".

Maneggiando una fotografia in bianco e nero di suo padre, gli occhi glaucomici della sessantenne Satka Selimovic lacrimano mentre lei ricorda la sua vita ai margini della società italiana. "Sono nata in Italia, vicino a Venezia, dopo la II guerra mondiale. La mia famiglia pensava che la vita ci avrebbe offerto una seconda possibilità. Ho raccontato la stessa cosa ai miei bambini, che la vita sarebbe cambiata in meglio e loro lo raccontano a Veronica, la mia nipotina. La gente dice che siamo astiosi e da rimproverare perché di auto-isoliamo, ma noi diciamo ad ogni nuova generazione di Rom che saranno inclusi ed accettati, ed ogni volta assomiglia a un tradimento."