venerdì 15 agosto 2008

Il grande gioco Usa: accerchiare la Russia
di Marcello Foa


I presidenti cambiano, ma loro restano, sono le grandi menti della politica estera americana, come Andrew Marshall, che dal 1973 guida l’Ufficio scenari strategici del Pentagono. Potentissimi e invisibili. Sono sconosciuti al grande pubblico, ma ispirano le mosse dell’America sullo scacchiere internazionale, garantendo continuità tra un’Amministrazione e l’altra. Non sono infallibili e la leggerezza con cui gli Usa hanno affrontato la guerra in Irak lo dimostra. Ma la loro mano è ben visibile in molti scenari, a cominciare da quello russo. Da circa vent’anni Washington sottrae al Cremlino crescenti sfere di influenza. Con uno scopo: accerchiare la Russia, ridimensionarla politicamente e garantirsi il controllo degli snodi euroasiatici sia energetici che politici che militari.
Basta prendere una cartina degli anni Ottanta per rendersi conto dell’estensione dell’impero comunista sovietico. Ingloba tutta l’Europa dell’Est, l’Asia centrale, controlla l’Afghanistan e può contare sulla compiacente neutralità dei Balcani grazie alla Jugoslavia di Tito e all’Albania, entrambe socialiste, sebbene non allineate.
Nel 1989 cade il Muro di Berlino e l’Armata Rossa abbandona l’Afghanistan. Poi tutto avviene con strabiliante rapidità: appena due anni dopo, nel 1991, l’Unione Sovietica non esiste più. Liberi tutti. Libera, a ben vedere, anche la Russia, che sprofonda nella miseria e smarrisce la propria forza militare, diventando un partner docilissimo. Priva di un nemico planetario, Washington potrebbe ridurre il proprio impegno nell’area.
E invece passa alla fase due, quella tracciata dai suoi strateghi. Come? Facendo entrare gli ex satelliti europei di Mosca sia nella Nato che nell’Unione europea; creando, dunque, un doppio vincolo, militare e politico. Ma la Russia è pur sempre una potenza nucleare, occorre agire gradualmente. Nel 1994 i Paesi Baltici, l’Ungheria, la Polonia, la Slovacchia, la Repubblica Ceca e la Bulgaria diventano candidati ufficiali all’adesione sia della Ue sia della Nato. Cinque anni dopo Praga, Budapest e Varsavia entrano a pieno titolo nell’Alleanza. Il test è decisivo per sondare la forza di Mosca, che strepita ma, stordita dalla crisi finanziaria, lascia fare.
È il segnale atteso da Washington. Nel 2004 tutti i Paesi dell’ex Patto di Varsavia entrano nel club militare atlantico e, parallelamente, nell’Unione europea, che nel 2007 apre anche a Bulgaria e Romania. Non tutti i criteri sono rispettati? L’adesione è prematura? Pazienza, in termini geostrategici ciò è ininfluente. L’importante è ancorarli all’Occidente.
Lo stesso avviene con l’ex Jugoslavia. Le guerre in Bosnia e nel Kosovo vengono risolte con l’intervento decisivo degli americani, che possono così controllare i Balcani, tranne la Serbia ma inclusa l’Albania.
Un capolavoro, ma incompleto; mancano all’appello altri Stati. Gli attentati dell’11 settembre offrono agli Usa la possibilità di puntare all’Asia centrale. Occorre combattere il terrorismo fondamentalista islamico che spaventa tutti; anche Putin che sostiene la guerra in Afghanistan contro il regime talebano e pertanto non si oppone quando Uzbekistan e Tagikistan consentono a Washington di aprire basi militari sul proprio territorio. La Casa Bianca si muove rapidamente e stringe relazioni molto strette, anche militari, con il Kazakistan e con l’Azerbaigian. In quella zona dell’ex Unione Sovietica, solo il Turkmenistan resta fedele a Mosca, mentre l’Armenia si mantiene equidistante.
E non è finita. La Moldavia, sorella della Romania, pende spontaneamente dalla parte degli Usa. Nel 2003 inizia la stagione delle rivoluzioni popolari, che oggi sappiamo ispirate dagli americani; quella rosa in Georgia costringe alla fuga Shevardnadze, che viene rimpiazzato da un giovane avvocato laureato a New York, Mikhail Saakashvili. L’anno dopo la rivoluzione arancione permette la vittoria in Ucraina del filoamericano Viktor Yushchenko. Nel 2004 la missione sembra quasi compiuta. Un’occhiata alla carta geografica e il quadro è chiaro: la Russia è di fatto accerchiata a ovest e a sud da Paesi alleati o amici degli Stati Uniti.
Tutto facile, troppo facile. Può un Paese grande come la Russia e con un passato imperiale arrendersi senza reagire? Ovvio che no, tanto più che il Cremlino si scopre ricco, grazie al petrolio e al gas. Putin, fino a quel momento amico di Bush, reagisce. È offeso e al contempo terrorizzato. Offeso per lo scippo dell’Ucraina, progenitrice e sorella della Grande Russia. Terrorizzato, perché convinto che Washington stia complottando una rivoluzione colorata a Mosca per rovesciarlo. E allora parte la controffensiva. Mosca destabilizza il regime arancione a Kiev, richiama all’ordine il Kazakhstan, il Tagikistan e l’Uzbekistan, che si riavvicinano a Mosca, allentando il legame con gli Usa. Poi si occupa della pratica georgiana. Si schiera al fianco dei secessionisti osseti e abkhazi. Attende l’occasione propizia. Saakashvili gliela offre l’8 agosto con il suo improvvido blitz. Le truppe russe entrano in Georgia. È la prima, grande rivincita di Mosca. Washington è avvertita.
http://blog.ilgiornale.it/foa

da: http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=282640&START=1&2col=

L'articolo di Famiglia Cristiana

MILITARI IN STRADA E SINDACI SCERIFFI: IL RISCHIO È UNA GUERRA TRA POVERI

IL PRESIDENTE SPAZZINO
NEL "PAESE DA MARCIAPIEDE"

Bene fa il Governo a prendere provvedimenti su annosi problemi. Ma riuscirà a fugare il sospetto che quando è al potere la destra i ricchi si impinguano e le famiglie si impoveriscono?



È un "Paese da marciapiede" quello che sta consumando gli ultimi giorni di un’estate all’insegna della vacanza povera, caratterizzata da un crollo quasi del 50% delle presenze alberghiere nei luoghi di vacanza. Dopo vari contrasti tra Maroni e La Russa, sui marciapiedi delle città arrivano i soldati, stralunati ragazzi messi a fare compiti di polizia che non sanno svolgere (neanche fossimo in Angola), e vengono cacciati i mendicanti senza distinguere quelli legati ai racket dell’accattonaggio da quelli veri.
A Roma il sindaco Alemanno, che pure mostra in altri campi idee molto più avanzate di quelle che il pregiudizio antifascista gli attribuisce, caccia i poveri in giacca e cravatta anche dai cassonetti e dagli avanzi dei supermercati. Li chiamano scarti, ma lì si trovano frutta e verdura che non sono belli da esporre sui banchi di vendita. E allora se vogliamo salvare l’estetica, perché non facciamo il "banco delle occasioni", coprendo con un gesto di pietà (anche qui "estetico"), un rito che fa male alle coscienze? Nei centri Ikea lo si fa, e nessuno si scandalizza. Anzi.

Ma dai marciapiedi sparisce anche la prostituzione (sarà la volta buona?) e sarebbe ingeneroso non dare merito al Governo di aver dato ai sindaci i poteri per il decoro e la sicurezza dei propri cittadini. A patto, però, che la "creatività" dei sindaci non crei problemi istituzionali con questori e prefetti e non brilli per provvedimenti tanto ridicoli quanto inutili; e che il Governo non ci prenda gusto a scaricare su altri le sue responsabilità, come con l’uscita tardiva e improvvida (colpo di sole agostano?) della Meloni e di Gasparri, che hanno chiesto ai nostri olimpionici di non sfilare per protesta contro la Cina (il gesto forte, se ne sono capaci, lo facciano loro, i soliti politici furbetti che vogliono occupare sempre la scena senza pagare pegno!).

Tornando al "Paese da marciapiede", ha fatto bene il cardinale Martino, presidente del Pontificio consiglio per i migranti, ad approvare la lotta al racket dell’accattonaggio senza ledere il diritto di chiedere l’elemosina da parte di chi è veramente povero. Il cardinal Martino ha posto un dubbio atroce: la proibizione dell’accattonaggio serve a nascondere la povertà del Paese e l’incapacità dei governanti a trovare risposte efficaci, abituati come sono alla "politica del rattoppo", o a quella dei lustrini?

La verità è che "il Paese da marciapiede" i segni del disagio li offre (e in abbondanza) da tempo, ma la politica li toglie dai titoli di testa, sviando l’attenzione con le immagini del "Presidente spazzino", l’inutile "gioco dei soldatini" nelle città, i finti problemi di sicurezza, la lotta al fannullone (che, però, è meritoria, e Brunetta va incoraggiato). Ma c’è il rischio di provocare una guerra fra poveri, se questa battaglia non la si riconduce ai giusti termini, con serietà e senza le "buffonate", che servono solo a riempire pagine di giornali.

Alla fine della settimana scorsa sono comparse le stime sul nostro prodotto interno lordo (Pil) e, insieme, gli indici che misurano la salute delle imprese italiane. Il Pil è allo zero, ma le nostre imprese godono di salute strepitosa, mostrando profitti che non si registravano da decenni. L’impresa cresce, l’Italia retrocede. Mentre c’è chi accumula profitti, mangiare fuori costa il 141% in più rispetto al 2001, ma i buoni mensa sono fermi da anni. L’industria vola, ma sui precari e i contratti è refrattaria. La ricchezza c’è, ma per le famiglie è solo un miraggio. Un sondaggio sul tesoretto dei pensionati che sarà pubblicata su Club 3 dice che gli anziani non ce la fanno più ad aiutare i figli, o lo fanno con fatica: da risorsa sono diventati un peso.

È troppo chiedere al Governo di fugare il sospetto che quando governa la destra la forbice si allarga, così che i ricchi si impinguano e le famiglie si impoveriscono?

da: http://www.sanpaolo.org/fc/0833fc/0833fc03.htm

sabato 2 agosto 2008

I giovani tra bullismo, Internet e televisione.

da: "Il Napoli", oggi in distribuzione.

Sono notizie che passano veloci, ma che feriscono in profondità.Violenze di bambini su bambini, di ragazzini su ragazzine, di ragazzine su altre ragazzine. Lo chiamiamo bullismo, ma chissà cosa è. Forse solo frustrazione e confusione, e violenza mangiata a colazione, come fosse un divertimento. Colpiscono,in queste miriadi di piccole storie terribili (mms porno a scuola, video di pestaggi su You-Tube, stupri tra 15enni, saloni di bellezza per bambine di 6 anni),l’esibizionismo e la leggerezza, con cui tutto questo accade. Senza adulti intorno, e sempre col cellulare acceso. Sono casi estremi quelli che ci feriscono, che rimbalzano sui giornali e in tv. Ma anche la normalità dei ragazzini, le loro vite tutte in casa, sempre collegati al computer, sempre col cellulare acceso, sempre davanti allo specchio, sembrano anche loro un po’ terribili. Perchè fragilissime, e un po’ solitarie: piene solo di sms e di merci. Questi ragazzini paiono allo sguardo della psicologa Anna Oliverio Ferraris terribili piccoli "adulti". E nel suo ultimo libro, un altro manuale per genitori ansiosi ma distratti, AnnaOliverio Ferraris parla del furto dell’infanzia. Un furto perpetrato dal mercato, dalla pubblicità, dalle aziende di scarpe da ginnastica, di merendine e di ombretti: aziende e pubblicitari che vorrebbero che i bambini crescessero subito. Da piccoli a piccoli consumatori. Il libro si chiama appunto "Perchè i nostri figli crescono troppo in fretta", ed è edito da Rizzoli.
Domanda: Nel suo libro avverte i genitori di questa massiccia opera di seduzione che fa la pubblicità sui bambini, anche molto piccoli.
Risposta: I bambini sono grandi imitatori. Crescono e imparano imitando. I propri genitori, ma anche i personaggi dello schermo. Le bambine a dieci anni oggi vestono come le loro madri e parlano di modelle e ombretti e cellulari. Il mercato tende a far crescere in fretta i bambini, a farli entrare subito nell’adolescenza: e anche a lasciarceli. Mi preoccupa questa accelerazione nei tempi di sviluppo dei bambini. Che invece devono crescere lentamente, per capire le cose ed assimilarle. Intelligenza ematurità non sono sinonimi.
Domanda: In passato ha scritto molto di bambini e tv. Oggi di come la tv acceleri la crescita dei ragazzi, affinchè crescano per comprare.
Risposta: Sì, è questo è il messaggio martellante che arriva ai bambini dalla tv. La pubblicità e la televisione istigano bisogni non necessari, e desideri frustranti. I genitori sembrano distratti, certe volte sono iper-protettivi, certe volte molto ansiosi. Ma riempiono i bambini di merci, di cose, e non danno loro attenzione reale.
Domanda: Se i bambini assorbono più dalla tv che dalla famiglia vuol dire che la famiglia è molto debole oggi.
Risposta: Sì, le famiglie sono deboli, e isolate.I bambini crescono negli appartamenti, senza zii e cugini intorno.La tv è la loro baby-sitter, e non più tutti quei giochi di movimento che erano fortemente educativi. L’intero scenario che stava intorno ai bambini un tempo è scomparso e le famiglie sono molto chiuse alle relazioni. Un tempo chiunque, per strada o sul bus, poteva impartire una lezione di buona educazione ad un bambino, oggi non puoi più farlo.
Domanda: I genitori temono anche che eliminando la televisione i bambini si sentano diversi dagli altri.
Risposta: Questo è un problema. Io proporrei ai genitori di costituire una rete, con le altre famiglie, e di fare in modo che i ragazzi discutano a scuola di questo: che imparino a capire cosa è un messaggio pubblicitario.Se i genitori e gli insegnanti si mettono d’accordo si possono stabilire delle regole comuni per tutta la classe.
Domanda: chiacchierare in chat è il passatempo preferito dai bambini fra gli 11 e i 14 anni: il 40% dei bambini non racconta mai ai genitori cosa vede e con chi "parla" in rete e le ricerche dicono che spesso si scrive con degli sconosciuti e che spesso frequenta siti porno.
Risposta: È un' abitudine diffusa tra i bambini, di cui i genitori non si rendono per nulla conto. Ed è un’abitudine che crea ansia, e apatia affettiva.I bambini imparano a vede r e i l sesso staccato dalle emozioni, corpi o pezzi di corpo senza relazioni affettive tra loro.E quando arrivano all’età in cui scoprono l’amore hanno già la mente piena di pornografia.

Carlotta Mismetti Capua

da: http://www.ilnapoli.sm/