mercoledì 15 agosto 2007

Effetto Gomorra

Casalesi, operazione Gomorra

L’allarme del procuratore Franco Roberti: sappiamo che Saviano e il pm Cantone sono nel mirino, chiediamo che vengano schierati gli investigatori migliori contro la camorra casertana. E che ci siano sforzi eccezionali per catturare i padrini latitanti. Perché i Casalesi sono diventati una nuova mafia, che ha infiltrato l’economia e le istituzioni

Il procuratore Franco RobertiLeonardo Sciascia diceva: "I mafiosi odiano i magistrati che ricordano". E i Casalesi odiano anche gli scrittori che fanno conoscere a tutto il mondo il loro vero volto». Franco Roberti, responsabile della Direzione distrettuale antimafia campana e procuratore aggiunto di Napoli, conosce i movimenti sotterranei nelle famiglie casertane. Quegli indicatori che nelle ultime settimane indicano tempesta. Ed interviene con un'intervista a "L'espresso" ? che sarà in edicola domani - pesando le parole una a una, conscio della serietà della situazione: «C'è tutta una serie di segnali che evidenziano come il clan dei Casalesi si stia interessando a investigatori come Raffaele Cantone e a scrittori come Roberto Saviano che hanno provocato con il loro lavoro la sprovincializzazione del fenomeno camorra e fatto conoscere al mondo il vero volto della mafia casalese». «Di questa situazione nei confronti di Cantone e Saviano noi della Direzione distrettuale di Napoli siamo assolutamente consapevoli. Per questo stiamo premendo perché vengano a lavorare nel Casertano i migliori investigatori italiani. Per questo da settembre chiederemo rinforzi quantitativi e qualitativi negli organici degli uffici di polizia che indagano in quell'area». Quello di Roberti è un discorso irrituale. Con bersagli chiari: «Chiederemo uno sforzo eccezionale per la cattura di latitanti storici: Antonio Iovine e Michele Zagaria sono ricercati da oltre dieci anni e sono inseriti nell'elenco dei più pericolosi d'Italia. Ma stiamo già facendo uno sforzo senza precedenti che ha provocato nell'ultimo anno la cattura di Casalesi di primissimo livello come Francesco Schiavone, cugino del celebre Sandokan, Giuseppe Russo o il reggente del clan Sebastiano Panaro. E dimostreremo che non ci sarà nessun calo di attenzione sui Casalesi dopo che il pm Cantone avrà lasciato l'ufficio per un nuovo incarico: l'unità di lavoro casertana della Dda, oltre a me che la coordino, sarà sempre dotata di autentici carri armati, giovani o meno giovani, che assicureranno continuità e incisività alle indagini, sia sul versante militare che su quello degli affari dei Casalesi».
Bastano queste ultime frasi a testimoniare quanto l'aria sia pesante. Per spiegarlo Roberti nell'intervista a "L'espresso" ricorre ai suoi ricordi personali, raccolti direttamente in un ventennio vissuto in prima linea. Perché è dalla fine degli anni Ottanta che i casalesi hanno costruito il loro potere di sangue e denaro, contando sempre sul silenzio. «Hanno sempre avuto tendenze egemoniche. Tutti i media guardavano a Napoli, invece il potere era nel Casertano. Carmine Alfieri, il capo indiscusso della camorra tra il 1984 e il 1992, si riteneva un subordinato di Antonio Bardellino, il fondatore dei Casalesi. Dopo il pentimento, Alfieri mi raccontò: "Io a Bardellino non potevo dare consigli. Era un grande campano, davanti a lui mi toglievo tanto di capello"». Ma la vera forza dei signori della provincia più criminale d'Italia, arrivata a segnare il record mondiale di omicidi, è il fiuto per gli affari: «Sono stati i primi a uscire dal settore edile e dagli appalti per inserirsi nel ciclo dei rifiuti, nella produzione di beni di largo consumo, nelle aziende agro-alimentare, nei giochi e nelle scommesse legali, nei consorzi di bonifica. Non dimenticherò mai come nel dicembre 1992 scoprii il nuovo business dei rifiuti. Interrogavo Nunzio Perrella, un trafficante del Rione Traiano che era passato dalla droga alla munnezza. Da Thiene nel Vicentino raccoglieva le scorie tossiche delle fabbriche di vernice e li sversava in Campania. E disse che a comandare erano i Casalesi». Adesso la capacità dei Casalesi ? prosegue Roberti nell'intervista a "L'espresso" che sarà in edicola domani - è andata ancora oltre: sono passati dall'economia industriale a quella finanziaria. «Sono così ricchi che agiscono investendo capitali nelle imprese legali, senza pretendere il controllo della gestione. Hanno inventato le società a p.c.m. ossia a partecipazione di capitale mafioso, che sono ormai parte rilevante dell'economia campana e nazionale. Ma trovano mercato anche all'estero. Perchè la loro strategia è vincente: i boss guadagnano facendo risparmiare le imprese. Sono più morbidi nelle banche: chiedono interessi inferiori, non fanno fretta per recuperare l'investimento. Hanno una ricchezza talmente vasta che li esonera dalle intimidazioni e dallo strozzinaggio. Il processo Zagaria sulle infiltrazioni nelle ditte di Parma e della pianura padana dimostra come gli imprenditori del Nord fossero felici di avere i capitali della camorra».
Roberto SavianoPer questo, sostiene Roberti, i Casalesi hanno dato vita a una metamorfosi micidiale: un nuovo modo di essere mafia. «Bisogna aggiornare il concetto di metodo mafioso alla luce della loro trasformazione. Non solo il vincolo di omertà e la forza di intimidazione, ma anche la forza del denaro. E quella delle relazioni imprenditoriali e istituzionali». Perché tutti i grandi gruppi delle costruzioni sono venuti a patti con i Casalesi. E il loro potere non potrebbe esistere senza il sostegno della politica. Un fronte meno esplorato, perché non ci saranno mai baci tra ministri e boss casertani. Non servono più relazioni dirette e vecchie testimonianze di pubblica stima. No, anche in questo i Casalesi sono l'evoluzione della specie. «I rapporti con le istituzioni sono dominati dal mimetismo. Sono rapporti di reciproca funzionalità, un concetto che è stato fissato da sentenze ormai in giudicato. In pratica l'accordo tra padrini e leader politici nazionali avviene mediante gli esponenti locali del partito nel territorio controllato dai boss». E qui Roberti nell'intervista a "L'espresso" che sarà in edicola domani cita le motivazioni di un processo che ha fatto epoca, quello contro Antonio Gava, ex ministro degli Interni, protagonista della politica nazionale e leader della Dc in Campania che era stato accusato di associazione mafiosa proprio con Carmine Alfieri e Antonio Bardellino, il fondatore dei Casalesi. «Dalla sentenza che ha assolto Gava con l'articolo 530 secondo comma, ossia il comma che ha sostituito la vecchia insufficienza di prove, risulta provato con certezza che Gava era consapevole dei rapporti di reciprocità funzionale esistenti tra i politici locali della sua corrente e l'organizzazione camorristica, nonché della contaminazione tra la criminalità organizzata e le istituzioni locali del territorio campano».A gestire lo scambio pensavano quindi altre figure, come il plenipotenziario di Gava, Francesco Patriarca, condannato con sentenza definitiva e arrestato a Parigi nelle scorse settimane, o Antonio D'Auria «segretario di Gava che andava a braccetto con camorristi ergastolani a cui aveva fatto da padrino di cresima» Insomma: la politica usa dei diaframmi per non sporcarsi le mani a livello nazionale. Un modo che rende più sicuri gli uomini di governo e semplifica anche le cose ai boss: più basso il livello, più semplice la trattativa. E se si passa dalla Campania di Gava ai Casalesi di oggi, che puntano sugli esponenti regionali dell'Udeur e dei Ds, si scopre che il quadro non è meno inquietante. Ma Roberti non entra nel merito delle istruttoria ancora aperte. Ribadisce la pericolosità del «rapporto sinallagmatico tra camorra, imprese e politica», che fa prosperare tutti: «I politici ottenevano sostegno elettorale dai clan, tangenti dagli impreditori e creavano consenso sociale con gli appalti. L'impresa conquistava l'appalto e la tranquillità nei cantieri garantita dai boss. La camorra invece portava a casa subappalti, mazzette e il rapporto con i politici per raggiungere protezioni nelle forze dell'ordine o informazioni sulle inchieste. Il tutto poi cementato dalle fatture false, che offrono occasione di riciclaggio e permettono di mettere insieme i fondi per pagare politici e boss».Eccolo il segreto dei Casalesi: l'evoluzione del modello mafioso. Un triangolo d'oro, che funziona senza sparare né minacciare. A patto di costruire una cortina di silenzio. Una cortina doppiamente necessaria mentre si celebrano i processi, condotti e istruiti dal pm Raffaele Cantone, che vedono alla sbarra capi e gregari, cassieri e killer. Ma arriva "Gomorra" e la macchina perfetta dei Casalesi si inceppa: in un anno il libro di Saviano mette sotto i riflettori di mezza Europa famiglie fino ad allora ignorate.«C'è stata un'esplosione di attenzioni proprio nel momento in cui i clan tra processo e affari volevano il silenzio. Ma l'evoluzione in senso mafioso, che ha trasformato la camorra casalese in una parte funzionalmente rilevante dell'economia non solo campana, ma nazionale, con proiezioni forti anche all'estero, ha determinato l'esigenza di tenere bassa l'attenzione su questi interessi economici. E sta creando una riorganizzazione interna, con rischi di tensioni. Perché questa attivazione dei media che ha seguito il libro di Saviano ha provocato la sprovincializzazione del fenomeno camorra e l'effetto, temutissimo perché devastante sugli affari del clan, della caduta di ogni alibi di non conoscenza. Nessuno ormai, quando gli si presenta un imprenditore casalese può dire di non sapere, di non sospettare...».
Una discarica a Caivano,in prvincia di NapoliQuesta nuova sfida sfugge alle categorie con cui i boss cresciuti in campagna interpretano il mondo. Crea un corto circuito nel loro sistema di potere: temono di perdere la faccia e con ciò vedere cadere il rispetto che sostiene il loro dominio sul territorio casertano. Ma sanno che usare i Kalashnikov provocherebbe la mobilitazione dello Stato e farebbe crollare i loro investimenti. «La tensione interna ai clan nasce proprio dalla necessità di tenere bassa l'attenzione sugli affari senza però perdere il controllo militare sugli affiliati. Nel passato recente ci sono stati altri segnali di tensione, che hanno riguardato persino i boss latitanti entrati in contrasto su scelte strategiche che comprendevano anche l'attentato contro un magistrato». Roberti non fa nomi: ma anche allora nel mirino c'era il pm Cantone. Oggi cosa accadrà? Il procuratore aggiunto di Napoli non vuole stare a guardare. E per questo nell'intervista a "L'espresso" che sarà in edicola domani invoca «i migliori investigatori, rinforzi qualitativi e quantitativi degli organici delle forze di polizia, uno sforzo eccezionale per la cattura dei latitanti storici». Perché finora dei Casalesi si è soprattutto parlato, senza che ci fosse una mobilitazione dello Stato per azzerare il loro impero: i padrini hanno affrontato i problemi giudiziari e quelli giornalistici senza che nel loro feudo la loro tranquillità venisse intaccata.«I Casalesi finora hanno mantenuto una pax mafiosa, praticamente senza fatti di sangue. Sanno che l'attenzione per la camorra in genere nasce solo quando si spara. Per cui si fa ricorso a mezzi emergenziali per eludere l'obbligo politico e istituzionale di fronteggiarla su piano ordinario». E Roberti poi pronuncia parole amare per un napoletano che ama la sua terra: «Qui non c'è nessuna emergenza. La camorra è parte integrante della società napoletana e casertana, ne costituisce una delle facce. Bisogna prendere atto che questa realtà è parte di noi. Solo così saranno possibili gli interventi strategici per combatterla».
(09 agosto 2007)

da: http://espresso.repubblica.it/dettaglio/Casalesi-operazione-Gomorra/1714717

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