martedì 17 luglio 2007

Un governo in affanno che deve durare

di EUGENIO SCALFARI

LA cosiddetta fase due del governo Prodi è cominciata da un paio di mesi. Quella dei provvedimenti per la crescita e l'aumento del potere d'acquisto dei ceti deboli: il cuneo fiscale ormai operativo, l'aumento delle pensioni sotto al livello di 650 euro, il sostegno ai giovani, l'avvio degli ammortizzatori sociali, la revisione concordata degli studi di settore, infine la trattativa sull'età pensionabile ancora in bilico, alla quale saranno destinati 4 miliardi mentre il Tesoro cerca di reperire un altro miliardo necessario a spalmare il costo dello "scalone" su un arco di tre anni. Aggiungerei un primo lotto di sostegno alle famiglie, la firma del contratto del pubblico impiego, l'assunzione di 60mila precari nelle scuole. Forse dimentico qualche altra cosa. Ma il guaio per il centrosinistra è che questa linea espansiva (comprensiva anche del pacchetto Bersani sulle liberalizzazioni) non ha prodotto, stando ai sondaggi, alcun effetto sul consenso degli elettori. Il governo resta ancora su livelli minimi, ma anche l'intera coalizione di centrosinistra registra molti punti di svantaggio rispetto alla coalizione opposta. La grande maggioranza degli osservatori politici è arrivata alla conclusione che governo e coalizione di centrosinistra non hanno alcuna probabilità di risalire la china della fiducia perduta. I vantaggi d'una crescita economica ancora sostenuta ed un buon andamento delle entrate fiscali non migliorano il rapporto tra gli elettori e il governo. La parola "agonia" ed altre analoghe come "sfarinamento, implosione, caduta libera" sono sulla bocca di tutti. Calderoli parla di "putrefazione". Berlusconi reclama ogni giorno nuove elezioni e scatena i suoi nell'ordalia pressoché quotidiana delle votazioni in Senato.
Insomma la crisi sotto traccia scuote di continuo la tenuta di Prodi, anche se l'esplosione o implosione che dir si voglia viene regolarmente rinviata. Dopo l'ennesimo tentativo di spallata avvenuto venerdì scorso al Senato sull'ordinamento giudiziario, fallito per un voto, il nuovo appuntamento è fissato per settembre. La crisi non è affatto scongiurata ma rimane per ora sotto traccia. Il malato, nonostante le prognosi sfavorevoli dei medici, continua a dare robusti segni di vitalità. Siamo dunque alle prese con un moribondo che si ostina a vivere. È positiva questa resistenza? Oppure è d'intralcio ad una ripresa del centrosinistra? E per il paese è utile o dannoso che il moribondo continui testardamente a vivere? Per dare un giudizio oggettivo e rispondere a queste domande bisogna porsi il problema di ciò che verrebbe dopo l'apertura d'una crisi. A questo punto bisogna necessariamente tirare in ballo il presidente della Repubblica perché le sue decisioni sarebbero, in caso di crisi, le sole veramente determinanti. Il Presidente applica la Costituzione. Per conseguenza non accetterebbe una crisi extra-parlamentare. Quali che fossero le decisioni di Prodi (salvo il caso di sue irrevocabili dimissioni) rinvierebbe il governo alle Camere per verificare se c'è ancora una maggioranza o se non c'è più. Dubito molto che le Camere voterebbero sfiducia a Prodi. Ma ammettiamo che la sfiducia sia invece votata. Si può star certi che Napolitano a quel punto nominerebbe un governo istituzionale per alcuni adempimenti necessari: la legge finanziaria e una nuova legge elettorale. Poi elezioni. Anche un governo istituzionale dovrebbe avere una maggioranza ma quasi sicuramente l'avrebbe. I presumibili candidati sono due: il presidente del Senato, Marini, oppure Giuliano Amato. La data del voto? La più prossima, oggettivamente, si può collocare al maggio-giugno 2008. Inutile dire che un anno con un governo istituzionale non è l'ideale per un paese che ha bisogno come non mai di decisioni rapide ed efficaci su molti versanti. Proprio mentre il governo Prodi sembra avere ingranato la marcia, una crisi e un governo istituzionale ci riporterebbero alla paralisi indipendentemente dalle capacità dei suoi componenti. Per conseguenza dico che il decesso dell'attuale Ministero non è una buona cosa né per il centrosinistra né, soprattutto, per il paese. Mettiamo ora a fuoco la situazione del centrosinistra e cominciamo dai riformisti del Partito democratico e da Walter Veltroni, intorno al quale si addensano ora manovre di ogni genere e tipo nei corridoi della politica e nei circuiti mediatici. Molti - direi quasi tutti - sembrano aver dimenticato come e perché è nata l'offerta di candidatura a Veltroni. È nata perché senza la prospettiva di quella candidatura la coalizione sarebbe già morta e di conseguenza anche il governo. Veltroni ha fatto di tutto per rinviarla ma poi ha dovuto cedere per necessità. Aveva tutto da perdere accettando. Quale che sia l'opinione dei professionisti in dietrologia, l'accettazione di Veltroni è stata un atto di generosità. Piero Fassino l'ha capito meglio di tutti e da quel momento è stato il più coerente nell'appoggiarlo rinunciando anche alle sue legittime ambizioni. Anche quello di Fassino è stato un atto di generosità. Mi pare giusto dirlo in una situazione in cui la generosità non è un sentimento molto diffuso. Se si guarda alle cause che determinarono la candidatura del sindaco di Roma per iniziativa di Massimo D'Alema, si vedrà che la questione delle primarie, delle candidature alternative e di quelle convergenti, è stata fin dall'inizio malposta. Si parla - per quanto riguarda le candidature alternative - delle primarie americane. Ma le primarie americane non hanno niente a che vedere con la situazione del nascituro Partito democratico. Le primarie americane servono a selezionare il leader che dovrà poi affrontare il leader del partito avversario, anche lui scelto attraverso lo stesso metodo a meno che non si tratti del presidente in carica che compete per il secondo mandato. La nostra situazione è completamente diversa. Qui si è fatto ricorso, per ragioni di necessità, ad un leader già esistente e già indicato da un vasto coro di elettori potenziali. Qualche cosa cioè di molto simile alle primarie che insediarono Prodi alla guida dell'Unione di centrosinistra. Anche allora infatti non ci furono vere primarie ma una sorta di plebiscito con la sola candidatura di bandiera di Bertinotti. Perciò tirare in ballo candidature alternative nel caso del Partito democratico è un madornale abbaglio. Spiace che persino Prodi sembri di tanto in tanto caderci. Non parliamo di Parisi. Dispiace che ci cada una persona seria come Rosy Bindi. Bersani, dopo averci seriamente pensato, ha infine compreso. Letta no. Si tratta di persone che fanno politica da molto tempo e sanno quale sia la sostanza del problema che non è quella (non dovrebbe essere) di precostituire pacchetti di voti di corrente all'interno del futuro partito, ma di dare forza al candidato prescelto. Soprattutto di aprire il Partito democratico ai giovani, ai simpatizzanti, agli elettori, affinché ritrovino il gusto della politica "perbene", della passione del fare, d'una visione condivisa del bene comune. Le correnti d'opinione ci saranno, nella Costituente e poi nel Partito costituito; è inevitabile ed è bene che ci siano opinioni diverse. Ma non nel momento in cui si deve creare il nuovo soggetto politico. Partendo da una situazione di grave mancanza di fiducia della società civile nei confronti della politica e della sinistra. Diffusa in tutto il Paese. Specialmente nel Nord. Veltroni è stato evocato - sì, è questo il termine appropriato per descrivere quella candidatura - anche se non soprattutto per una sorta di ecumenismo che circonda la sua figura di sindaco. Opporvi personalità che rivendicano la rappresentanza di specifici settori dei Ds e della Margherita è un nonsenso. I voti che potrebbero raccogliere sarebbero o troppo pochi o troppi. In tutt'e due i casi un errore. Questo almeno, per quel che vale, è il mio parere. Ci sono tuttavia anche dichiarazioni e "manifesti" convergenti su Veltroni che rivendicano il "coraggio" di posizioni e l'esplicito desiderio di caratterizzare il leader e profilarlo a propria somiglianza. Dichiarazioni e "manifesti" ovviamente legittimi ma, a mio avviso, assai poco appropriati. Lo sarebbero se il candidato prescelto si fosse presentato in pubblico esibendo soltanto se stesso senza dire "cose", senza fissare paletti, ignorando temi, domande, bisogni, speranze. Ma non è stato questo il caso. Nel discorso del Lingotto, poi in quello di Verona e presumibilmente in tutti gli altri appuntamenti che seguiranno, Veltroni ha reso esplicite le sue posizioni e l'orientamento che ritiene di poter dare al nascituro partito. Ha parlato di precariato, di previdenza, di sicurezza, di infrastrutture, di giovani, di Mezzogiorno e di Nord, di pressione fiscale da allentare, di evasione fiscale da perseguire, di lavoro autonomo e di lavoro dipendente, di Europa e di America. Queste sue posizioni sono state esplicitamente richiamate e fatte proprie dalle dichiarazioni e dai "manifesti" principalmente da quello di Rutelli diffuso tre giorni fa e supportato da molte firme qualificate. Perché dunque dico che a me pare un documento non appropriato? Per un punto, una frase, poche parole che peraltro sono le sole ad avere interessato i circuiti mediatici e quelli politici: "Alleanze di nuovo conio che il nuovo partito potrà stipulare". Chi ha orecchio per intendere ha inteso. Alleanze di nuovo conio significa, puramente e semplicemente, l'Udc di Casini. E poiché Casini ha sempre detto che può essere disponibile a concludere accordi col Partito democratico soltanto a due condizioni: rottura con la sinistra radicale e liquidazione del governo attuale, ecco che - magari al di là delle intenzioni dei promotori di quel "manifesto" - , il senso politico di esso è di far intravedere che, al bisogno, il nuovo partito sarebbe disponibile ad adempiere a quelle due condizioni. È appropriato un siffatto documento e dà forza a Veltroni spingendolo verso un'ala del riformismo? Indebolendo nel frattempo Prodi? Direi di no. Le reazioni della sinistra radicale infatti non sono mancate. Rifondazione comunista ha denunciato una manovra per rompere l'Unione di centrosinistra. Ma - ecco l'ultima questione da discutere - la sinistra radicale ha le carte in regola per accusare Rutelli di rottura del patto di alleanza dell'Unione? La sinistra radicale ha fatto di tutto in questo primo anno del governo di centrosinistra per mettere l'alleanza in difficoltà. Ha rallentato e indebolito ogni provvedimento del governo di cui è parte tutte le volte che esso confliggeva con la visione politica di una sinistra radicale, antagonista, movimentista. Dalla Tav alla base Usa di Vicenza, dall'Afghanistan alle pensioni, dalla politica di Padoa-Schioppa ai moniti delle agenzie finanziarie internazionali. Per di più ha sparato a palle incatenate contro il nascituro Partito democratico. Ha fatto il suo mestiere, la sinistra radicale? Forse sì. Ma certo non ha fatto il mestiere d'un partito che partecipa in condizioni minoritarie ad un governo di coalizione. Ha ottenuto molto più di quanto abbia dato. Ha mantenuto un tasso di litigiosità che ha causato un disincanto profondo tra gli elettori del centrosinistra e una vera e propria rabbia tra i ceti produttivi del Nord e del Nordest, senza neppure ottenere maggiori voti per Rifondazione e per gli altri cespugli della sinistra radicale. Se Rifondazione voleva questo risultato avrebbe dovuto restar fuori dal governo. Avendo deciso di entrarvi doveva accettare la regola che fa del governo una istituzione e non un luogo di occupazione partitocratica. La reazione di Rutelli, lo ripeto, non è appropriata ma la sinistra radicale, per quanto la riguarda, non ha titolo per protestare poiché in gran parte quella reazione è lei che l'ha provocata. Concludo in questo modo: 1. Prodi deve continuare nella sua fatica, come del resto sta facendo, assicurando al Paese un servizio indispensabile in mancanza di alternative, facendo in modo di operare con efficienza e continuità, mediando fin dove può, decidendo come deve fare quando la mediazione sia impossibile o snaturante. 2. Veltroni ha tutto l'interesse a non creare imbarazzi al governo e a procedere nella costruzione del nascituro partito puntando soprattutto sui bisogni e le speranze dei giovani, degli elettori, dei simpatizzanti. 3. La sinistra radicale si renda conto che l'elastico su cui si regge una coalizione ampia e differenziata non consente ulteriori tensioni senza rompersi. Se vuole tirarlo ancora sarà lei ad essere responsabile per la seconda volta in otto anni di aver riportato la destra berlusconiana al governo di questo Paese. 4. Il quale Paese non dovrebbe dimenticare che la predetta destra berlusconiana ha governato per cinque anni con maggioranze parlamentari schiaccianti senza fare una sola riforma degna del nome, senza aver creato infrastrutture, senza aver adempiuto ad una sola delle promesse elettorali che aveva fatto.

(15 luglio 2007)



da: http://www.repubblica.it/

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