domenica 29 luglio 2007

Quattro anni di guerra in Iraq

Il giorno in cui Bush perderà il sonno

di Tahar Ben Jelloun

Allora sapremo che il presidente americano è tornato a essere un uomo. Ma le conseguenze della guerra in Iraq rimarranno a lungo

I resti di un'autobomba a BaghdadQuattro anni dopo l'ingresso delle truppe americane a Baghdad e la caduta di Saddam, l'Iraq continua a immolare dalle 50 alle 100 persone al giorno. Nel momento in cui scrivo, sono certo che alcuni suoi cittadini stanno per morire in seguito a un'esplosione in un mercato o lungo una strada affollata. E sono altrettanto sicuro che l'uomo in abito grigio che sta uscendo da casa incrocerà un proiettile entro la fine della giornata. Mentre leggete questo articolo, sappiate che fra il momento in cui l'ho scritto e il giorno in cui è stato pubblicato, sono state uccise almeno 300 persone. E domani ci saranno altre vittime, specialmente donne e bambini.Quanto ai feriti, avete notato che nessuno ne parla più sui giornali? E che non fanno notizia neppure se perdono in seguito la vita? Perché parlarne, del resto, visto che si tratta soltanto di iracheni, di arabi, di musulmani? In compenso, tutta la stampa mondiale riporta, caso per caso, il numero di vittime americane. In questo preciso istante, martedì 10 aprile, apprendo che quattro soldati statunitensi sono stati uccisi. Sappiamo tutti che all'inizio di quest'anno si è oltrepassata la soglia dei 3 mila morti fra i loro ranghi. Ma com'è noto, ci sono morti più interessanti, importanti e simpatici degli altri. È fondamentale far conoscere che la potenza più grande del mondo ha perso 3 mila giovani in questa guerra contro un popolo che non le ha fatto niente. Né si può addurre l'attenuante che tutto questo sia servito a smantellare le organizzazioni terroriste, a dar la caccia a Bin Laden e a catturare i suoi seguaci, visto che sono morti in seguito ad attacchi di iracheni che non li volevano nel loro paese. Si tratta dunque di una situazione assurda quanto 'il deserto dei tartari', voluta da un presidente eletto con scarsi consensi, che voleva dimostrare che l'America è sempre potente.
Così, ogni giorno, ha il suo numero di vittime, con cifre che variano di poco. È matematico. Soldati, resistenti, cittadini che non partecipano a questa guerra, muoiono ogni giorno. E dopo 1.468 giorni di occupazione americana, il numero complessivo di morti supera i 100 mila. Oggi, nessuno sa come uscire da questo pantano né soprattutto come riportare la pace in questo paese. Tutte le affermazioni dell'entourage di Bush si sono rivelate menzogne ed errori. L'esportazione della democrazia non è stata come bere un bicchier d'acqua. Il terrorismo internazionale ha trovato in questo paese una base operativa e un laboratorio sperimentale insperati. Al Qaeda agisce con arroganza in Iraq, seminando morte un po' ovunque. Una guerra civile fra sunniti e sciiti è incominciata. Saddam Hussein è stato giustiziato prima che fossero terminati tutti i procedimenti giudiziari a suo carico. Il paese è stato distrutto. La sua economia versa in condizioni catastrofiche. Il bilancio di questi quattro anni è negativo sotto ogni profilo. Non c'è nessun dato confortante. Ma il popolo americano si è risvegliato, rifiutando questa guerra. Gli Stati Uniti vengono biasimati e le grandi manifestazioni sciite a Najaf, l'8 aprile scorso, hanno attribuito loro la responsabilità di tutti questi misfatti. E in quello stesso giorno, un'autobomba è esplosa a Mahmoiudiya, a sud di Baghdad, facendo 18 morti. Ed ecco che si parla della conferenza di Sharm el Sheikh in Egitto, in programma il 3 e 4 maggio prossimi. Un'altra riunione in cui si cercherà di stanare il soldato Bush dalla giungla del crimine. Si dovrà porgergli la mano, indicargli qualche via d'uscita. Come lasciare infatti l'Iraq, senza perdere la faccia? Ma al suo popolo, esposto ogni giorno alle bombe, importa ben poco di questo. Pretende soltanto, senza che nessuno lo ascolti, di vivere, in modo indipendente, senza terrorismo né guerra civile, alimentata, com'è noto, da vicini benevolenti!Il giorno in cui Bush perderà completamente il sonno, sapremo allora che è tornato a essere un uomo, ovvero una persona dotata di una coscienza. Le conseguenze negative della sua politica in Iraq continueranno, rimarranno a lungo un incubo per questo paese dove più del 60 per cento degli abitanti la rigettano. Ma la terra continuerà a girare come se il destino dell'uomo fosse scandito dalla guerra, dall'ingiustizia e dal disprezzo dei diritti umanitari più elementari.

traduzione di Mario Baccianini
(27 aprile 2007)
da: http://espresso.repubblica.it/dettaglio/Il-giorno-in-cui-Bush-perdera-il-sonno/1586747

domenica 22 luglio 2007

Quando la mediazione e il compromesso, se fatti a fine di bene, sono un'arte

Credo che il governo Prodi, di compromesso in compromesso,continuerà a realizzare obiettivi e ad andare avanti

Mediare per il paese e non per il potere

Che altro c'è di buono in questa intesa? L'aumento delle pensioni d'anzianitàl'avvio degli ammortizzatori sociali, il sostegno ai giovani

di EUGENIO SCALFARI
Mi sono fatto da qualche mese una nomea alla quale non sono particolarmente affezionato: quella di essere la sola persona convinta che Romano Prodi sia un buon presidente del Consiglio. In realtà dare giudizi su chi è migliore o peggiore rispetto ad un altro è un esercizio futile e logicamente scorretto perché non si possono paragonare le mele con le spigole, le zucchine con la carne d'agnello. E così non si possono dare etichette di efficienza a due governi che hanno operato in contesti politici ed economici diversi. Se inquadriamo l'attuale governo Prodi nel contesto in cui ha operato nei primi dodici mesi dal suo insediamento sono convinto che si tratti d'un buon governo, anche se assai scarso nella comunicazione dei suoi provvedimenti. La capacità di Prodi a mediare è notevole, ma c'è mediazione e mediazione. Andreotti per esempio, ai suoi tempi, fu un fuoriclasse in questo esercizio da lui usato quasi sempre per mantenersi al potere anche a costo dell'immobilismo più disperante. La mediazione di Prodi ha una diversa natura: mira a compromessi capaci di avanzare verso obiettivi di utilità generale. Andreotti - tanto per proseguire nell'esempio - governò in tutte le stagioni politiche; guidò governi appoggiati a destra, al centro, a sinistra. In alcuni casi ebbe perfino il sostegno dell'Msi; in altre fece maggioranze organiche con il Pci. Prodi al contrario ha sempre sostenuto (e confermato con i fatti) di non essere un politico disponibile in tutte le stagioni ma in una soltanto. Forse proprio per questo non piace alla maggioranza degli italiani. In più ha una testa durissima, come quasi tutti quelli che sono nati a Reggio Emilia. Io sono nato nel segno dell'Ariete, perciò lo capisco.
Guardate ai vaticini berlusconiani che si susseguono ormai da un anno. Vaticinavano che sarebbe caduto entro un mese dalla proclamazione del verdetto elettorale. Da allora spostano la data dell'apertura della crisi di due o al massimo tre settimane in continuazione. Sono passati dodici mesi e le date di scadenza della crisi sono state finora almeno una ventina. Adesso il capo dell'opposizione e tutti i suoi accoliti hanno fissato per il prossimo settembre l'appuntamento decisivo con la dissoluzione del centrosinistra. Tutto può accadere quando si naviga con la maggioranza di un voto, ma io non credo che il centrosinistra celebrerà il suo suicidio in autunno. Credo che, di compromesso in compromesso, continuerà a realizzare obiettivi e ad andare avanti. Per una ragione molto semplice: ancora per un bel pezzo non ci saranno alternative al governo Prodi. * * * Vengo alla riforma delle pensioni, una vicenda che dura da mesi e che, un giorno dopo l'altro, è stata preconizzata come irrisolvibile. Sarebbe un esercizio utile per tutti rivedere i titoli dei telegiornali e dei quotidiani da maggio in poi. Una sequenza sussultoria senza fine: "Pensioni, l'accordo è vicino" "Scontro feroce sulle pensioni" "Il governo è spaccato" "La sinistra all'attacco" "Il contrattacco per i riformisti" "Berlusconi: governo in crisi" "Resta lo scalone" "Via lo scalone senza se e senza ma". Bene. Giovedì sera alle 22 i sindacati confederali sono stati convocati a Palazzo Chigi. Alle 4 del mattino, in una delle tante pause d'un negoziato che tutti i partecipanti hanno definito durissimo, si sono appartati in una saletta del palazzo Prodi, Padoa-Schioppa, Letta e il segretario della Cgil, Epifani. "Devi dirmi sì o no. Adesso" gli ha detto il presidente del Consiglio. "Per me l'accordo va bene, ma debbo consultare il direttivo. Garantisco che la risposta sarà un sì ma formalmente la darò lunedì mattina". "Lo ripeto: mi devi dare la risposta adesso. Se è no esco di qui e annuncio le dimissioni del governo". Dopo questo siparietto il sì di Epifani è arrivato con la clausola "per presa d'atto" scritta a penna prima della firma. Il senso di quella frase l'ha dato lo stesso segretario della Cgil in un'intervista di ieri al nostro giornale. Alla domanda dell'intervistatore sull'accordo raggiunto, la risposta è stata la seguente "il testo di ieri notte contiene molte misure di grandissimo valore e anche di carattere innovativo. In modo particolare sto pensando ai giovani, al fatto che nell'aggiornamento dei coefficienti di trasformazione sarà indicato che per loro la pensione non potrà essere inferiore al 60 per cento dell'ultima retribuzione. Non solo: dopo tanti anni vengono definiti finalmente i lavori faticosi". Poche righe più in là il giornalista gli chiede: "Il governo reggerà la prova parlamentare dell'intesa?". Risposta: "Il governo ha una navigazione a vista, ma troverei paradossale che naufragasse proprio su questo. La conseguenza sarebbe la crisi di governo ma anche la sopravvivenza dello scalone e la rinuncia a tutto ciò che c'è di buono in questa intesa". Esatto. Che altro c'è di buono in questa intesa? Ricordiamolo perché di questi tempi la memoria è diventata assai corta. C'è l'aumento delle pensioni d'anzianità a 3 milioni di pensionati, l'avvio degli ammortizzatori sociali, il sostegno ai giovani contro il precariato, per un complessivo ammontare di 2.600 miliardi. Altri 5 miliardi sono stati stanziati per l'aumento graduale dell'età pensionabile al posto dello scalone di Maroni. Si parte da subito con lo scalino di 58 anni, nel 2009 l'età sale a 59 anni, nel 2011 a 60, nel 2013 a 61. Un anno in più alle stesse date per i lavoratori autonomi. Tutti questi provvedimenti saranno inseriti nella legge finanziaria per il 2008. Se il governo fosse battuto, il complesso di questi accordi - che dovranno essere approvati dai lavoratori - salterà per aria insieme al governo. Ha ragione Epifani: sarebbe un capitombolo epocale. Chi si prenderebbe questa responsabilità: Giordano? Diliberto? Cremaschi della Fiom? * * * Tito Boeri, un economista di valore, ha scritto ieri sulla "Stampa" che l'accordo sulle pensioni è un buon compromesso. Avrebbe voluto che l'età pensionabile si muovesse con maggiore celerità ma si rende conto, appunto, del "contesto" e se ne dichiara parzialmente soddisfatto. A differenza del suo collega ed amico Francesco Giavazzi che sul "Corriere della Sera", lancia invece raffiche sul governo, sui sindacati, sulla sinistra. Se la prende anche con Veltroni. Il finale arieggia a quello che il Manzoni mette in bocca a frà Cristoforo quando apostrofando don Rodrigo con l'indice puntato contro di lui e gli occhi fiammeggianti profetizza: "Verrà un giorno... ". Più misurati gli eurocrati di Bruxelles. Conosceremo meglio domani la loro opinione ma il primo impatto è stato favorevole, almeno perché una decisione è stata presa. Negativa - moderatamente - la Confindustria, anche perché non è stata ascoltata. Mi permetto di osservare in proposito che l'oggetto del negoziato riguardava i pensionati e i pensionandi. Non un contratto di categoria e neppure la politica economica in generale ma semplicemente pensionati e pensionandi. Mi permetto altresì di dire che perfino la consultazione della "base" da parte dei sindacati è un gesto apprezzabile di democrazia ma non statutariamente necessario, come lo sarebbe per un contratto di lavoro. Si spera comunque che i dirigenti confederali accompagneranno la discussione con la base esternando il loro motivato parere e spiegando bene le conseguenze di un voto negativo. La democrazia non è (non dovrebbe essere) una lotta libera senza regole. Serve a costruire e non a sfasciare. E se i partiti invadono l'agone sindacale, tempi duri si preparano per i lavoratori. Post Scriptum. Alcuni lettori si chiedono e ci chiedono perché mai la Chiesa abbia celebrato con tutti gli onori previsti dalla liturgia i funerali dell'avvocato Corso Bovio, eminente figura del Foro milanese, morto suicida, ed abbia invece negato quei funerali all'ammalato Welby che fu aiutato da un amico generoso a interrompere cure inutili che perpetuavano senza scopo alcuno una vita di intollerabili sofferenze. Una spiegazione pare che ci sia da parte della Chiesa. Dal diniego opposto contro tutti i suicidi, essa è passata col tempo ad una visione più duttile (più ipocrita) secondo la quale il suicidio deriva da un "raptus", una perdita improvvisa di coscienza. Su questa base il suicida viene "perdonato" e ammesso ai funerali religiosi che mandano in pace l'anima sua e sono di conforto per i suoi parenti. Nel caso Welby invece l'ipotesi del "raptus" non poteva essere adottata poiché si trattava di un militante che voleva contrastare l'accanimento terapeutico. Di qui il divieto di celebrare il funerale religioso nonostante fosse stato richiesto insistentemente da lui e dai suoi familiari. Che possiamo rispondere ai nostri lettori? Che la Chiesa è, oltre che un'organizzazione religiosa, anche se non soprattutto un'organizzazione di potere. È anzi un potere a tutti gli effetti e si muove come tale su un'infinità di questioni che hanno poco o nulla a che vedere con la religione dell'amore e della carità predicata dai Vangeli. Come tutte le organizzazioni di potere, anche la Chiesa usa largamente lo strumento dell'ipocrisia. Questo è tutto.
(22 luglio 2007)

da: www.repubblica.it

sabato 21 luglio 2007

La mamma dei cretini è sempre incinta...anche d'estate!

L'ANTITALIANO

Un'altra estate da cretinismo generale

di Giorgio Bocca

Il cretinismo cialtrone imperversa: su tutti i giornali ci sono fotografie di Lele Mora, un procuratore di divette televisive, e di Fabrizio Corona.

Il cretinismo in tutte le sue forme, consumistico, sanitario, sessuale, ha rotto gli argini, domina incontrastato, naviga gli oceani, sulle navi giganti delle super crociere dove i vacanzieri stanno come polli nella stia a ingozzarsi di pappe dolciastre, riempie gli schermi televisivi e i giornali. Senza tregua, senza misura.È possibile che un uomo di media cultura non sappia cosa è una 500 Fiat? Non sappia che è una delle edizioni delle utilitarie cioè delle scatole di sardina che vanno a velocità pazzesche per tener alta la media delle migliaia di morti su strada che neppure i parenti stretti piangono, di cui la pubblica sanità se ne infischia, che le cronache ignorano per abbondanza? È possibile che giornali di 'opinione', come li chiamiamo, ne parlino come la Madonna pellegrina? E va bene che 'La Stampa' di Torino è un house organ della Fiat ma è il cretinismo totale che dovrebbe un po' spaventare i contemporanei. Sentite: "Se l'abbiamo aspettata a lungo qualche settimana in più non toglie a nessuno il gusto di guidarla. Ne vale la pena perché se è accattivante a prima vista la nuova bambina su strada si rivela addirittura entusiasmante". E noi che ridevamo degli immigrati meridionali che passavano la domenica a lavare e lucidare la nonna della bambina. "Poi la metti in moto e la passione aumenta. Scopri i vani porta oggetti in ogni angolo, la presa Usb, il meglio dei sistemi di connessione interattiva". La gente si ferma per vederla, per toccarla perché "chi la possiede ne farà soprattutto un modello da esibire. L'auto che ride va vissuta con gioia". Poi c'è il sadomasochismo super cretino dei vacanzieri da crociera. Salgono su una nave gigante per stare sdraiati sulle poltrone a mangiare in continuazione. Come vitelli all'ingrasso. Si alzano solo per andare alle slot machines. Una fiumana di gente che gioca come bambini scemi senza comunicare. Sulla enorme nave ci sono duemila turisti in vacanza e un migliaio di extracomunitari al loro servizio per rifornirli in continuità di prosciutto al forno caramellato al miele e la mela cotta in salsa di lampone.
Tutti intruppati a fare le stesse gite, le stesse cene di gala, gli stessi balli brasiliani. E poi, a metà pomeriggio, salsicce e lasagne, teglie di pizza a festoni, macchinette che sputano gelati. Si viaggia di notte, ci si sveglia presto, si passa attraverso il metal detector. C'è tutto nella grande nave, anche la sala operatoria, anche il piccolo obitorio biposto. Il supercretinismo cialtrone imperversa: su tutti i giornali ci sono fotografie di Lele Mora, un procuratore di divette televisive, e di Fabrizio Corona, uno che ha fatto fortuna fotografando e ricattando. Pare che anche Silvio Berlusconi lo voglia usare per la campagna elettorale come uno dei nuovi eroi del nostro tempo, uno che non sa far niente di onesto ma che passa il tempo fra belle donne e belle ville, non come quei poveretti che si battono per le poche lire di una pensione. Il cretinismo a guardar bene è la professione più redditizia di questo paese. Silvio Berlusconi che è stato per anni capo del governo non sapeva niente dei furfanti che lo circondavano, delle malefatte che combinavano, niente dei miliardi che Craxi mandava in Tunisia o in Centro America, niente degli avvocati che corrompevano i giudici, niente dei fascisti perenni che faceva salire al governo.Incomincia un'altra estate da cretinismo generale in cui non ci accorgeremo dei mafiosi che si sono impadroniti di Milano, degli assassini balcanici che trapiantano qui le loro mafie. Tutti felici per aver la Cinquecento con lo spruzzo di profumo a comando.
(20 luglio 2007)

da: http://espresso.repubblica.it

martedì 17 luglio 2007

La recensione del film di Alfonso Cuaron "I figli degli uomini" scritta dal filosofo Slavoj Zizek

Gli ultimi uomini

di Slavoj Zizek - 07/06/2007

Fonte: sagarana

Mentre una parte del mondo si spegne in stupidi piaceri artificiali, l'altra è decisa a lottare fino all'autodistruzione - Nei film di Hollywood l'ampio sfondo storico è solo un pretesto per il "vero argomento"; cioè il viaggio iniziatico del personaggio o della coppia protagonista. In Reds la rivoluzione d'ottobre fa da sfondo ai due innamorati che si riconciliano in un appassionato rapporto sessuale; in Deep impact l'onda gigantesca che sommerge l'intera costa orientale degli Stati Uniti è solo la scenografia della riunificazione incestuosa tra padre e figlia; nella Guerra dei mondi l'invasio­ne degli alieni è lo scenario in cui Tom Cruise riafferma il suo ruolo paterno. In I figli degli uomini di Alfonso Cuarón, inve­ce, lo sfondo è l'elemento principale. La fantascienza classica hollywoodiana presenta in genere un futuro pieno di invenzio­ni inaudite, dove però anche i cyborg si comportano come noi, o meglio come ci comportavamo noi nei vecchi melodrammi di Hollywood e nei film d'avventura. Nei Figli degli uomini non ci sono oggetti strani e Londra è esattamente come oggi, solo di più. Cuarón si limita a evidenziare il suo potenziale poetico e sociale: i sobborghi invasi dai rifiuti, le telecamere di sorveglianza dappertutto... Il film ci ricorda che la realtà è più assurda di qualunque fantasia. Una volta Hegel osservò che una persona somiglia più al suo ritratto che a se stessa. I figli degli uomini è la fantascienza del nostro presente. Siamo nel 2027 e la specie umana è diventata sterile. Il più giovane abitante della terra, nato diciotto anni prima, è stato appena ucciso a Buenos Aires. La Gran Bretagna vive in un perenne stato d'emergenza, con squadre antiterrorismo che danno la caccia agli immigrati clandestini e il governo impe­gnato ad amministrare una popolazione in calo che vegeta in uno sterile edonismo. Questi due tratti – la permissività edo­nistica con le sue nuove forme di apartheid sociale e il controllo basato sulla paura – sono forse tipici delle nostre società? Il colpo di genio del regista è questo: "Molte storie sul futuro", ha detto Cuarón in un'intervista, "immaginano un mondo dominato da un Grande fratello, ma io credo che sia un'idea nove­centesca della dittatura. La tirannia del ventunesimo secolo si chiama `democrazia"'. Per questo le persone che governano il mondo nel suo film non sono grigi burocrati totalitari in uniforme, come quelli di Orwell, ma amministratori illuminati, colti e democratici. I figli degli uomini non è un film sulla ste­rilità come problema biologico. La sterilità di cui parla Cuarón è quella diagnosticata molto tempo fa da Friedrich Nietzsche quando intuì che la civiltà occidentale si stava dirigendo verso "l'ultimo uomo", una creatura apatica senza passioni né impe­gni. Incapace di sognare e stanco della vita, l'ultimo uomo non corre rischi e cerca solo comodità, sicurezza e tolleranza reci­proca: "Un po' di veleno, ogni tanto, per fare sogni gradevoli. E molto veleno, alla fine, per una morte gradevole. Hanno i loro piccoli piaceri per il giorno e i loro piccoli piaceri per la notte, ma sempre badando alla salute. 'Abbiamo scoperto la felicità', dicono gli ultimi uomini, e strizzano l'occhio". L'ultimo uomo non vuole che i suoi sogni a occhi aperti siano disturbati, e per questo "molestia" è una parola chiave del suo universo mentale. Il termine è usato per indicare azioni brutali come lo stupro, le percosse e altre forme di violenza sociale che devono essere severamente condannate. Ma indica anche il fastidio per qualsiasi vicinanza eccessiva a un altro essere umano, con i suoi desideri, piaceri e paure. Due elementi determinano oggi la tolleranza liberale verso gli altri : il rispetto per l'alterità e la paura ossessiva della molestia. Non abbiamo niente contro l'altro a patto che la sua presenza non sia intrusiva, che l'altro non sia veramente altro. La tolleranza coincide con il suo contrario: il mio dovere di essere tollerante verso gli altri significa che non devo avvicinarmi troppo, che non devo intromettermi, insomma che devo rispettare l'intol­leranza per la mia vicinanza eccessiva. E questo che si sta af­fermando come il fondamentale "diritto umano" della nostra società: il diritto di non essere molestati, cioè di tenersi a distanza di sicurezza dagli altri. In gran parte delle cause per molestie i giudici proibiscono al molestatore di avvicinarsi alla sua vittima e gli impongono di tenersi ad almeno cento metri di distanza. È una sorta di difesa contro la realtà traumatica del desiderio dell'altro: è ov­vio che c'è qualcosa di violento nel mostrare apertamente la propria passione per un altro essere umano. La passione per definizione "fa patire" il suo oggetto, lo ferisce, e anche chi accetta con gioia di esserne il bersaglio non potrà mai farlo senza timore né sorpresa. È così anche per il divieto di fumare. Il fumo è stato bandito innanzitutto dagli uffici, poi dai voli aerei, dai ristoranti, dagli aeroporti, dai bar, dai club privati, in alcuni campus universitari nel raggio di cinquanta metri dall'ingresso degli edifici, e infine – in un caso esemplare di censura pedagogica che ricor­da le foto ritoccate della nomenklatura stalinista – le poste degli Stati Uniti hanno cancellato le sigarette dai francobolli con l'immagine di Jackson Pollock e del chitarrista Robert Johnson. Questi divieti prendono di mira il piacere eccessivo e rischioso dell'altro, incarnato dall'atto "irresponsabile" di accendersi una sigaretta e aspirare profondamente con un'im­perturbabile voluttà (al contrario degli yuppie clintoniani, che non aspirano, fanno sesso senza una vera penetrazione e man­giano solo cibi senza grassi). Come ha detto Jacques Lacan, se Dio è morto, più nulla è permesso. Moltissimi prodotti sono stati privati delle loro proprietà nocive: il caffè senza caffeina, la panna senza grassi, la birra senza alcol e così via. Il sesso virtuale è sesso senza sesso. E la dottrina di Colin Powell della guerra senza vittime (dalla no­stra parte, naturalmente) non è forse una guerra senza guer­ra? La politica come arte della buona amministrazione è una politica senza politica, e il multiculturalismo tollerante e liberale è un'esperienza dell'altro privato della sua alterità (nell'immagine dell'altro idealizzato vediamo le sue danze affasci­nanti e il suo approccio olistico ecologicamente sano alla real­tà, ma dimentichiamo le percosse alla moglie o lo stupro incestuoso). Per noi abitanti del primo mondo è sempre più difficile im­maginare una causa universale per cui valga la pena di sacrifi­care la vita. La spaccatura tra primo e terzo mondo segue la linea che contrappone una vita lunga, ricca e soddisfacente a una vita dedicata a una causa trascendente. È l'antagonismo tra ciò che Nietzsche definiva nichilismo "passivo" e nichili­smo "attivo". Noi occidentali siamo gli ultimi uomini, immersi in stupidi piaceri quotidiani; mentre gli estremisti musulmani sono pronti a rischiare tutto, impegnati in una lotta nichilistica fino all'autodistruzione. Nei Figli dell'uomo l'unico posto dove prevale uno strano senso di libertà è Bexhill, una città circondata da un muro e trasformata in un campo profughi diretto dai suoi abitanti, immigrati clandestini, che alla fine del film viene spietatamente bombardata dall'aviazione. La vita, lì, è in fermento: ci sono manifestazioni militari dei fon­damentalisti islamici ma anche gesti di autentica solidarietà. Ed è proprio qui che appare il neonato. E allora dove abbiamo sbagliato? Chi ha letto il marchese De Sade sa bene che la disinvolta affermazione della sessualità, spogliata da ogni traccia di trascendenza spirituale, si trasforma paradossalmente in un esercizio meccanico privo di autentica passione sensuale. Un rovesciamento simile si trova anche nell'impasse degli ultimi uomini di oggi, gli individui "postmoderni" che respingono ogni finalità "superiore" e dedi­cano la loro vita a una sopravvivenza piena di piaceri sempre più raffinati e indotti artificiosamente. Se le vecchie società gerarchiche schiacciavano gli impulsi vitali con i loro rigidi sistemi ideologici imposti e difesi dagli apparati statali, le so­cietà di oggi stanno perdendo la vitalità a causa del loro edonismo estremamente permissivo: tutto è lecito, ma a patto che sia decaffeinato e privo di sostanza. E questo vale anche per la democrazia: è sempre più decaffeinata, senza sostanza e forza politica. Un secolo fa, G.K. Chesterton scriveva: "Gli uomini che cominciano a combattere la chiesa per amore della libertà e dell'umanità finiscono per gettar via la libertà e l'umanità pur di lottare contro la chiesa". I fanatici difensori della reli­gione fanno lo stesso: hanno cominciato attaccando ferocemente la cultura laica contemporanea e hanno finito per ri­nunciare a qualunque esperienza religiosa significativa. E i guerrieri liberali sono così decisi a combattere il terrorismo e il fondamentalismo antidemocratico che finiranno per gettare via la libertà e la democrazia. Pur di dimostrare che il fonda­mentalismo non cristiano è la peggiore minaccia alla libertà sono pronti a limitare la libertà nelle nostre presunte società cristiane. Mentre i terroristi sono pronti a distruggere questo mondo per amore dell'altro, i nostri guerrieri antiterroristi sono pronti a distruggere il loro stesso mondo democratico spinti dall'odio nei confronti dell'altro, cioè dei musulmani. Oggi la politica dominante è la politica della paura, una difesa contro la possibilità di diventare vittime o di essere molestati: paura degli immigrati, della criminalità, della depra­vazione sessuale, paura perfino di uno stato in­vadente (con tasse troppo alte), delle catastrofi ecologiche, delle molestie. Ed è per questo che il politicamente corretto è l'espressione liberale per eccellenza della politica della paura. Una politica che si affida agli slogan spaventosi di uomini spa­ventati. All'inizio dei 2006 la politica contraria all'immigrazione ha conquistato l'Europa, tagliando il cordone ombelicale che la legava ai partiti di estrema destra. Dalla Francia alla Germa­nia, dall'Austria ai Paesi Bassi, con un nuovo orgoglio per la propria identità culturale e storica, i partiti più importanti hanno considerato accettabile sottolineare che gli immigrati sono ospiti e devono adeguarsi ai valori culturali dei paesi in cui cercano accoglienza. È per questo che lo "scontro di civiltà" è la malattia di Huntington del nostro tempo, nel senso di Samuel Huntington, secondo il quale dopo la fine della guerra fredda "la cortina di ferro dell'ideologia" è stata sostituita con la "cortina di velluto della cultura". Questa visione pessimista può sembrare l'esatto contrario della luminosa prospettiva di Francis Fukuyama, quella di una "fine della storia" sotto forma di una democrazia liberale mondiale. Forse, però, lo scontro di civiltà è la fine della storia: i conflitti etnico-religiosi, cioè, sono la forma di lotta più adatta al capitalismo globale. Nella nostra era po­stpolitica, in cui la politica vera e propria viene progressivamente sostituita dalla buona amministrazione, le tensioni culturali – etniche e religiose – restano l'unica fonte legittima del conflitto. Perciò, per citare l'indimenticabile sintesi freudiana del presidente George W. Bush, non "sottovalutate male" I figli degli uomini : il nuovo film di Cuarón colpisce al cuore della nostra complessa situazione.
Un governo in affanno che deve durare

di EUGENIO SCALFARI

LA cosiddetta fase due del governo Prodi è cominciata da un paio di mesi. Quella dei provvedimenti per la crescita e l'aumento del potere d'acquisto dei ceti deboli: il cuneo fiscale ormai operativo, l'aumento delle pensioni sotto al livello di 650 euro, il sostegno ai giovani, l'avvio degli ammortizzatori sociali, la revisione concordata degli studi di settore, infine la trattativa sull'età pensionabile ancora in bilico, alla quale saranno destinati 4 miliardi mentre il Tesoro cerca di reperire un altro miliardo necessario a spalmare il costo dello "scalone" su un arco di tre anni. Aggiungerei un primo lotto di sostegno alle famiglie, la firma del contratto del pubblico impiego, l'assunzione di 60mila precari nelle scuole. Forse dimentico qualche altra cosa. Ma il guaio per il centrosinistra è che questa linea espansiva (comprensiva anche del pacchetto Bersani sulle liberalizzazioni) non ha prodotto, stando ai sondaggi, alcun effetto sul consenso degli elettori. Il governo resta ancora su livelli minimi, ma anche l'intera coalizione di centrosinistra registra molti punti di svantaggio rispetto alla coalizione opposta. La grande maggioranza degli osservatori politici è arrivata alla conclusione che governo e coalizione di centrosinistra non hanno alcuna probabilità di risalire la china della fiducia perduta. I vantaggi d'una crescita economica ancora sostenuta ed un buon andamento delle entrate fiscali non migliorano il rapporto tra gli elettori e il governo. La parola "agonia" ed altre analoghe come "sfarinamento, implosione, caduta libera" sono sulla bocca di tutti. Calderoli parla di "putrefazione". Berlusconi reclama ogni giorno nuove elezioni e scatena i suoi nell'ordalia pressoché quotidiana delle votazioni in Senato.
Insomma la crisi sotto traccia scuote di continuo la tenuta di Prodi, anche se l'esplosione o implosione che dir si voglia viene regolarmente rinviata. Dopo l'ennesimo tentativo di spallata avvenuto venerdì scorso al Senato sull'ordinamento giudiziario, fallito per un voto, il nuovo appuntamento è fissato per settembre. La crisi non è affatto scongiurata ma rimane per ora sotto traccia. Il malato, nonostante le prognosi sfavorevoli dei medici, continua a dare robusti segni di vitalità. Siamo dunque alle prese con un moribondo che si ostina a vivere. È positiva questa resistenza? Oppure è d'intralcio ad una ripresa del centrosinistra? E per il paese è utile o dannoso che il moribondo continui testardamente a vivere? Per dare un giudizio oggettivo e rispondere a queste domande bisogna porsi il problema di ciò che verrebbe dopo l'apertura d'una crisi. A questo punto bisogna necessariamente tirare in ballo il presidente della Repubblica perché le sue decisioni sarebbero, in caso di crisi, le sole veramente determinanti. Il Presidente applica la Costituzione. Per conseguenza non accetterebbe una crisi extra-parlamentare. Quali che fossero le decisioni di Prodi (salvo il caso di sue irrevocabili dimissioni) rinvierebbe il governo alle Camere per verificare se c'è ancora una maggioranza o se non c'è più. Dubito molto che le Camere voterebbero sfiducia a Prodi. Ma ammettiamo che la sfiducia sia invece votata. Si può star certi che Napolitano a quel punto nominerebbe un governo istituzionale per alcuni adempimenti necessari: la legge finanziaria e una nuova legge elettorale. Poi elezioni. Anche un governo istituzionale dovrebbe avere una maggioranza ma quasi sicuramente l'avrebbe. I presumibili candidati sono due: il presidente del Senato, Marini, oppure Giuliano Amato. La data del voto? La più prossima, oggettivamente, si può collocare al maggio-giugno 2008. Inutile dire che un anno con un governo istituzionale non è l'ideale per un paese che ha bisogno come non mai di decisioni rapide ed efficaci su molti versanti. Proprio mentre il governo Prodi sembra avere ingranato la marcia, una crisi e un governo istituzionale ci riporterebbero alla paralisi indipendentemente dalle capacità dei suoi componenti. Per conseguenza dico che il decesso dell'attuale Ministero non è una buona cosa né per il centrosinistra né, soprattutto, per il paese. Mettiamo ora a fuoco la situazione del centrosinistra e cominciamo dai riformisti del Partito democratico e da Walter Veltroni, intorno al quale si addensano ora manovre di ogni genere e tipo nei corridoi della politica e nei circuiti mediatici. Molti - direi quasi tutti - sembrano aver dimenticato come e perché è nata l'offerta di candidatura a Veltroni. È nata perché senza la prospettiva di quella candidatura la coalizione sarebbe già morta e di conseguenza anche il governo. Veltroni ha fatto di tutto per rinviarla ma poi ha dovuto cedere per necessità. Aveva tutto da perdere accettando. Quale che sia l'opinione dei professionisti in dietrologia, l'accettazione di Veltroni è stata un atto di generosità. Piero Fassino l'ha capito meglio di tutti e da quel momento è stato il più coerente nell'appoggiarlo rinunciando anche alle sue legittime ambizioni. Anche quello di Fassino è stato un atto di generosità. Mi pare giusto dirlo in una situazione in cui la generosità non è un sentimento molto diffuso. Se si guarda alle cause che determinarono la candidatura del sindaco di Roma per iniziativa di Massimo D'Alema, si vedrà che la questione delle primarie, delle candidature alternative e di quelle convergenti, è stata fin dall'inizio malposta. Si parla - per quanto riguarda le candidature alternative - delle primarie americane. Ma le primarie americane non hanno niente a che vedere con la situazione del nascituro Partito democratico. Le primarie americane servono a selezionare il leader che dovrà poi affrontare il leader del partito avversario, anche lui scelto attraverso lo stesso metodo a meno che non si tratti del presidente in carica che compete per il secondo mandato. La nostra situazione è completamente diversa. Qui si è fatto ricorso, per ragioni di necessità, ad un leader già esistente e già indicato da un vasto coro di elettori potenziali. Qualche cosa cioè di molto simile alle primarie che insediarono Prodi alla guida dell'Unione di centrosinistra. Anche allora infatti non ci furono vere primarie ma una sorta di plebiscito con la sola candidatura di bandiera di Bertinotti. Perciò tirare in ballo candidature alternative nel caso del Partito democratico è un madornale abbaglio. Spiace che persino Prodi sembri di tanto in tanto caderci. Non parliamo di Parisi. Dispiace che ci cada una persona seria come Rosy Bindi. Bersani, dopo averci seriamente pensato, ha infine compreso. Letta no. Si tratta di persone che fanno politica da molto tempo e sanno quale sia la sostanza del problema che non è quella (non dovrebbe essere) di precostituire pacchetti di voti di corrente all'interno del futuro partito, ma di dare forza al candidato prescelto. Soprattutto di aprire il Partito democratico ai giovani, ai simpatizzanti, agli elettori, affinché ritrovino il gusto della politica "perbene", della passione del fare, d'una visione condivisa del bene comune. Le correnti d'opinione ci saranno, nella Costituente e poi nel Partito costituito; è inevitabile ed è bene che ci siano opinioni diverse. Ma non nel momento in cui si deve creare il nuovo soggetto politico. Partendo da una situazione di grave mancanza di fiducia della società civile nei confronti della politica e della sinistra. Diffusa in tutto il Paese. Specialmente nel Nord. Veltroni è stato evocato - sì, è questo il termine appropriato per descrivere quella candidatura - anche se non soprattutto per una sorta di ecumenismo che circonda la sua figura di sindaco. Opporvi personalità che rivendicano la rappresentanza di specifici settori dei Ds e della Margherita è un nonsenso. I voti che potrebbero raccogliere sarebbero o troppo pochi o troppi. In tutt'e due i casi un errore. Questo almeno, per quel che vale, è il mio parere. Ci sono tuttavia anche dichiarazioni e "manifesti" convergenti su Veltroni che rivendicano il "coraggio" di posizioni e l'esplicito desiderio di caratterizzare il leader e profilarlo a propria somiglianza. Dichiarazioni e "manifesti" ovviamente legittimi ma, a mio avviso, assai poco appropriati. Lo sarebbero se il candidato prescelto si fosse presentato in pubblico esibendo soltanto se stesso senza dire "cose", senza fissare paletti, ignorando temi, domande, bisogni, speranze. Ma non è stato questo il caso. Nel discorso del Lingotto, poi in quello di Verona e presumibilmente in tutti gli altri appuntamenti che seguiranno, Veltroni ha reso esplicite le sue posizioni e l'orientamento che ritiene di poter dare al nascituro partito. Ha parlato di precariato, di previdenza, di sicurezza, di infrastrutture, di giovani, di Mezzogiorno e di Nord, di pressione fiscale da allentare, di evasione fiscale da perseguire, di lavoro autonomo e di lavoro dipendente, di Europa e di America. Queste sue posizioni sono state esplicitamente richiamate e fatte proprie dalle dichiarazioni e dai "manifesti" principalmente da quello di Rutelli diffuso tre giorni fa e supportato da molte firme qualificate. Perché dunque dico che a me pare un documento non appropriato? Per un punto, una frase, poche parole che peraltro sono le sole ad avere interessato i circuiti mediatici e quelli politici: "Alleanze di nuovo conio che il nuovo partito potrà stipulare". Chi ha orecchio per intendere ha inteso. Alleanze di nuovo conio significa, puramente e semplicemente, l'Udc di Casini. E poiché Casini ha sempre detto che può essere disponibile a concludere accordi col Partito democratico soltanto a due condizioni: rottura con la sinistra radicale e liquidazione del governo attuale, ecco che - magari al di là delle intenzioni dei promotori di quel "manifesto" - , il senso politico di esso è di far intravedere che, al bisogno, il nuovo partito sarebbe disponibile ad adempiere a quelle due condizioni. È appropriato un siffatto documento e dà forza a Veltroni spingendolo verso un'ala del riformismo? Indebolendo nel frattempo Prodi? Direi di no. Le reazioni della sinistra radicale infatti non sono mancate. Rifondazione comunista ha denunciato una manovra per rompere l'Unione di centrosinistra. Ma - ecco l'ultima questione da discutere - la sinistra radicale ha le carte in regola per accusare Rutelli di rottura del patto di alleanza dell'Unione? La sinistra radicale ha fatto di tutto in questo primo anno del governo di centrosinistra per mettere l'alleanza in difficoltà. Ha rallentato e indebolito ogni provvedimento del governo di cui è parte tutte le volte che esso confliggeva con la visione politica di una sinistra radicale, antagonista, movimentista. Dalla Tav alla base Usa di Vicenza, dall'Afghanistan alle pensioni, dalla politica di Padoa-Schioppa ai moniti delle agenzie finanziarie internazionali. Per di più ha sparato a palle incatenate contro il nascituro Partito democratico. Ha fatto il suo mestiere, la sinistra radicale? Forse sì. Ma certo non ha fatto il mestiere d'un partito che partecipa in condizioni minoritarie ad un governo di coalizione. Ha ottenuto molto più di quanto abbia dato. Ha mantenuto un tasso di litigiosità che ha causato un disincanto profondo tra gli elettori del centrosinistra e una vera e propria rabbia tra i ceti produttivi del Nord e del Nordest, senza neppure ottenere maggiori voti per Rifondazione e per gli altri cespugli della sinistra radicale. Se Rifondazione voleva questo risultato avrebbe dovuto restar fuori dal governo. Avendo deciso di entrarvi doveva accettare la regola che fa del governo una istituzione e non un luogo di occupazione partitocratica. La reazione di Rutelli, lo ripeto, non è appropriata ma la sinistra radicale, per quanto la riguarda, non ha titolo per protestare poiché in gran parte quella reazione è lei che l'ha provocata. Concludo in questo modo: 1. Prodi deve continuare nella sua fatica, come del resto sta facendo, assicurando al Paese un servizio indispensabile in mancanza di alternative, facendo in modo di operare con efficienza e continuità, mediando fin dove può, decidendo come deve fare quando la mediazione sia impossibile o snaturante. 2. Veltroni ha tutto l'interesse a non creare imbarazzi al governo e a procedere nella costruzione del nascituro partito puntando soprattutto sui bisogni e le speranze dei giovani, degli elettori, dei simpatizzanti. 3. La sinistra radicale si renda conto che l'elastico su cui si regge una coalizione ampia e differenziata non consente ulteriori tensioni senza rompersi. Se vuole tirarlo ancora sarà lei ad essere responsabile per la seconda volta in otto anni di aver riportato la destra berlusconiana al governo di questo Paese. 4. Il quale Paese non dovrebbe dimenticare che la predetta destra berlusconiana ha governato per cinque anni con maggioranze parlamentari schiaccianti senza fare una sola riforma degna del nome, senza aver creato infrastrutture, senza aver adempiuto ad una sola delle promesse elettorali che aveva fatto.

(15 luglio 2007)



da: http://www.repubblica.it/

domenica 15 luglio 2007

L'accusa del Financial Times: "Dimenticato il femminismo"Per il giornale sono trattate peggio solo a Cipro, Egitto e Corea

"L'Italia un paese di veline le donne sono solo oggetti"

dal corrispondente ENRICO FRANCESCHINI
"LONDRA - Fin dal titolo, è un'accusa senza mezzi termini: "La terra che ha dimenticato il femminismo", sovraimpresso sul noto cartellone pubblicitario di Telecom Italia in cui Elisabetta Canalis, seduta a gambe incrociate con un telefonino in mano, piega il busto in avanti, in una posizione non proprio comodissima, rivelando una generosa scollatura. E' la copertina dell'inserto patinato del Financial Times di ieri, che in un articolo di quattro pagine denuncia severamente il trattamento riservato alle donne nel nostro paese: l'uso di vallette seminude in ogni genere di programma televisivo, gli spot pubblicitari dominati da allusioni sessuali, il prevalere della donna come oggetto, destinata a stuzzicare "i genitali dell'uomo, anziché il cervello". Non solo: secondo l'autore del servizio, Adrian Michaels, corrispondente da Milano dell'autorevole quotidiano finanziario, potrebbe esserci un legame fra l'onnipresenza di maggiorate in abiti discinti sui nostri mezzi di comunicazione e la scarsità di donne ai vertici della politica, del business, delle professioni in Italia.
Arrivato a Milano tre anni fa da New York insieme alla moglie, Michaels ammette di essere rimasto stupefatto dal modo in cui televisione e pubblicità dipingono le donne; e ancora più sorpreso dal fatto che apparentemente nessuno protesta o ci trova qualcosa di male. Come esempi del fenomeno, oltre al cartellone della Canalis per la Telecom, cita le vallette del gioco a quiz di Rai Uno L'eredità, la pubblicità dei videofonini della 3, le vallette di Striscia la notizia, l'abbigliamento della presentatrice sportiva Ilaria D'Amico di Sky Italia. L'articolo considera quindi una serie di dati da cui risulta che le donne italiane sono fra le più sottorappresentate d'Europa nelle stanze dei bottoni: il numero delle parlamentari, 11 per cento, è lo stesso di trent'anni fa; nelle maggiori aziende italiane le donne rappresentano solo il 2 per cento dei consigli d'amministrazione (rispetto al 23 per cento nei paesi scandinavi e al 15 negli Stati Uniti); e un sondaggio internazionale rivela che la presenza di donne in politica, nella pubbica amministrazione e ai vertici del business è più bassa che in Italia soltanto a Cipro, in Egitto e in Corea del Sud. "La mia sensazione è che il femminismo, dopo importanti battaglie per il divorzio e l'aborto, da noi non esista più", gli dice il ministro Emma Bonino, interpellata sul tema. Altri fattori aumentano le difficoltà delle donne ad avere una diversa posizione sociale, osserva il quotidiano londinese: il lavoro part-time è raro in Italia (15 per cento della forza lavoro rispetto al 21 in Germania e al 36 in Olanda), cosicché le donne che cercano di giostrarsi tra famiglia e carriera sono spesso costrette a scegliere l'una o l'altra. L'articolo ricorda un discorso del governatore della Banca d'Italia Draghi secondo cui il nostro è uno dei paesi europei in cui meno donne tornano all'occupazione dopo la maternità. Un altro motivo è che gli orari dei negozi ("impossibile fare la spesa il lunedì mattina, il giovedì pomeriggio, la sera e la domenica") complicano la vita della donna che lavora, su cui continua comunque a pesare la responsabilità di casa. La lettera di Veronica Berlusconi pubblicata da Repubblica, in cui chiedeva le pubbliche scuse di Silvio per il suo comportamento con le donne, potrebbe segnalare l'inizio di un cambiamento, ipotizza Michaels. Ma uno dei pubblicitari da lui intervistati avverte: "L'Italia è indietro nel modo in cui sono trattate le donne rispetto ad altri paesi, ma abbiamo un metro per giudicare cos'è accettabile diverso dal vostro. Gli uomini e le donne italiani non saranno mai come gli uomini e le donne britannici". (15 luglio 2007)

da: www.repubblica.it